Cherchez la femme! E se, dopo tanti rumors sull’erede di Boccia, il destino di Confindustria fosse da riporre nelle mani di una regina? Dopo Emma Marcegaglia, prima e unica presidentessa degli industriali italiani dal 2008 al 2012, lo scettro potrebbe essere impugnato nuovamente da una signora: Licia Mattioli, attuale vice presidente di Confindustria, con delega all’internazionalizzazione.
Certo, è ancora il tempo per valutare come plausibile qualsiasi scenario. Le ipotesi, i rumors – si diceva – e persino le illazioni fanno notizia. Tra il leader di Assolombarda, Carlo Bonomi, e quello dell’Associazione industriali bresciani, Giuseppe Pasini, si è giunti a una guerra di posizione. Come era prevedibile. Entrambi hanno manovrato troppo in anticipo sul calendario elettorale, che entrerà nel suo clou solo con il prossimo anno. Il primo ha fatto intendere in più modi che vorrebbe succedere a Boccia, senza però dirlo in maniera schietta. Il secondo, al contrario, ha fatto outing, ma non si è esposto con un vero programma di presidenza. Non siamo al classico caso dei cardinali che entrano in conclave da papi, uscendone leccandosi le ferite, ma poco ci manca.
Logica conseguenza di questa intempestività lombarda è che, altrove, si siano mosse altre cordate. L’ipotesi di Edoardo Garrone appariva la più sensata fino a poco tempo fa. Ma adesso i bookmakers la darebbero in fase calante. Nell’ottica di un nuovo presidente di Confindustria eletto dall’imprenditoria settentrionale – perché a questa tornata tocca al Nord presentare il suo uomo – ma che al tempo stesso sia apprezzato da Boccia, la figura di Garrone sarebbe stata perfetta. Peccato però che, proprio dal Nord, sembra che siano arrivati i segnali della necessità di una rottura con il passato. Lo stesso Bonomi ha lasciato intendere che qualcosa in viale dell’Astronomia va cambiato. Ora, non si può pensare che un uomo del sistema Confindustria, com’è Garrone, messo al vertice del Sole 24Ore dalla Presidenza Boccia, possa rappresentare quel cambiamento che il manifatturiero italiano esige dalla sua associazione di riferimento.
La candidatura della Mattioli ricorda alcuni governi della Prima repubblica in cui il Presidente del Consiglio, prima di entrare a Palazzo Chigi, doveva aver fatto esperienza alla Farnesina
Da qui l’avanzata di Licia Mattioli. Con le contraddizioni che anche questa candidatura presenta. Candidatura peraltro mai dichiarata. Non basta infatti un nome “en rose” per dire che tutto cambia. La Mattioli infatti è ancor più legata alla Presidenza Boccia di quanto lo sia Garrone. Tuttavia, il fatto di essere al vertice di un’azienda, la Mattioli Spa, attiva nella gioielleria, nel design e nella moda, quindi in tutto ciò che fa figo e made in Italy, la pone su un piano differente. La signora, pardon, la Cavaliere del Lavoro Licia Mattioli è napoletana, ma torinese di adozione. E sotto la Mole ha presieduto l’Unione Industriale Torino tra il 2012 e il 2016. Oggi la sua delega all’internazionalizzazione, la rende in qualche modo immune alle critiche che si fanno di solito a Confindustria, ai soggetti intermedi e quant’altro. Continuità sì, ma con una vision da un livello rialzato. La candidatura della Mattioli ricorda alcuni governi della Prima repubblica in cui il Presidente del Consiglio, prima di entrare a Palazzo Chigi, doveva aver fatto esperienza alla Farnesina. Bei tempi! Un’imprenditrice che ha rappresentato il made in Italy nel mondo non può che avere delle ottime carte da giocare. Il tutto in una maniera squisitamente da Gattopardo: tutto si evolve, ma sempre di quella matrice di sta parlando.
Infine c’è la carta coperta di Marco Tronchetti Provera, che tutti conoscono, che ha una certa età – con il dovuto rispetto – e che per questo molti, lui in primis, si sentono di escludere. È vero però che quando la patria va salvata, i grandi padri sono i primi a non potersi tirare indietro. Il numero uno di Pirelli e prima ancora di Telecom, il protagonista di tante pagine esaltanti della finanza, dell’industria italiana (e del gossip) sarà ben consapevole che, al di là di nomi e totonomine, il problema Confindustria c’è. Ed è la capacità sempre meno influente di indirizzare il futuro economico del Paese. Non è soltanto una questione di “you get what you pay for”. Marchionne diceva che i servizi di Confindustria non gli servivano a nulla, ergo perché pagarli. Più o meno la stessa cosa ha pensato Leonardo Del Vecchio, che lo scorso anno ha ritirato Luxottica dalle associazioni territoriali e a ottobre è uscito anche dalla federazione di categoria delle aziende di occhiali, l’Anfao. No, il nodo del discorso è saper essere incisivi. Prevenire i casi di Tav, Ilva, Ponte Morandi, plastic tax, tasse sulle auto aziendali e via così. Un’associazione di categoria, chiamiamola con il suo vero nome: una lobby fa in modo che nessuno in parlamento provi anche a pensare, nel suo più profondo subconscio, di disturbare il sistema produttivo. Farlo significa mettere in discussione lavoro e futuro. Una lobby gioca di anticipo su queste derive di irresponsabilità.
Confindustria ha bisogno di tornare a essere quella muraglia cinese contro l’anti-industrialismo che ferisce – anche questa è una ferita alla democrazia – il sistema Paese. Tronchetti Provera lo sa. La Mattioli pure. E anche tutti gli altri. L’auspicio è che l’aquilotto non perda tempo sui nomi. Poi si può chiudere maliziando sul fatto che Tronchetti Provera è di Milano e quindi in casa Assolombarda, l’endorsment a Bonomi forse non è unanime. Ma queste possono essere congetture.