Come sonnambuli, i Cinquestelle si muovono a casaccio, senza un minimo di razionalità. Fa impressione pensare che si tratta del primo partito in Parlamento ma è così. Il danno è fatto, sulla presentazione alle regionali il leader è stato sconfessato dalla base. L’unica sua ritorsione di qualche peso potrà essere il ventilato rinvio degli Stati generali – che non è la trasmissione di Serena Dandini ma quello che nei partiti normali è un Congresso. Si parla di marzo, ma adesso boh. La prima resa dei conti ci sarà martedì prossimo con l’assemblea dei senatori, i più nervosi. Il giorno dopo, riunione di tutti i parlamentari. Il tribunale per il “Capo” politico. >
Lui, Di Maio, si mostra tetragono. Come se nulla fosse accaduto. «Lunedì sarò in Calabria e in Emilia», annuncia. Peccato che non avrebbe voluto. Ma il dado è tratto, niente alleanze col Pd. Una bella sberla a chi vuole l’alleanza strategica con lui. Al partner di un’alleanza sempre più innaturale.
Prima di chiedersi se la decisione di presentarsi in Emilia-Romagna danneggerà o meno Stefano Bonaccini – e dunque il Pd, e dunque il governo – conviene soffermarsi un attimo sul cortocircuito che sta incendiando il Movimento. È certo che il “Capo politico” non controlla più la base e nemmeno i vertici, o presunti tali: la triste vicenda del capogruppo alla Camera che da due mesi non riescono a eleggere lo dimostra in modo plateale. Ed è altrettanto acclarato che lo stesso Di Maio non dispone più di solide alleanze con i personaggi che contano, tanto che ormai è costretto a guardare a un evanescente Di Battista, il descamisado in fuga per l’Iran, mentre né Grillo né tantomeno Fico si stracciano le vesti per le disgrazie del ministro degli Esteri (già, è anche ministro degli Esteri, giova ricordarlo), e non parliamo della più agitata di tutti, Roberta Lombardi (“Il Capo ha fallito”). A questo punto nessuno sa con precisione se egli si renda conto della situazione o pensi di poter continuare così fino alla fine: sua, s’intende.
Tra i Cinque Stelle In queste ore sembrano tutti imbambolati. Tranne chi pensa di lucrare un posto da consigliere regionale in Calabria e in Emilia
In queste ore sembrano tutti imbambolati. Tranne chi pensa di lucrare un posto da consigliere regionale in Calabria e in Emilia, dove però le percentuali saranno terribili. In Emilia scommetteremmo su un dato abbondantemente sotto il 10%: significherebbe l’antipasto della dissoluzione. Andrà male perché è difficile che tutti gli elettori del M5s seguiranno una lista totalmente irrilevante. La gente dice o Bonaccini o Borgonzoni. Ci si chiede se questi voti in libera uscita confluiranno sul primo o sulla seconda: è possibile che alla fine si equivalgano, più o meno. C’è una teoria secondo la quale buona parte del voto grillino è già andato alla candidata leghista e che per converso molti dei rimasti vireranno su Bonaccini. Questi intanto non appare molto preoccupato. La lista M5s nella peggiore delle ipotesi – ragionano gli esperti di sondaggi – gli porterà via poco, tipo l’1%.
Ma quel che è certo è che sul piano politico il rapporto fra Pd e M5s si è avvelenato, ridando fiato a quelli che al Nazareno non hanno mai condiviso l’idea, che oggi appare obiettivamente lunare, della “alleanza strategica” con Di Maio e Grillo – se ne avrà una riprova a fine novembre con la riunione nazionale della componente di Guerini e ex renziani “Base riformista” – e persino Zingaretti e Franceschini vengono raccontati come esterrefatti dinanzi alla totale mancanza di direzione politica di Di Maio, il quale comincia ad essere sospettato di intelligenza col nemico Salvini. Il che d’altra parte sarebbe coerente con l’unica cosa chiara che Di Maio ha esternato in questi mesi, la teoria dell’ago della bilancia, una volta con l’uno una volta con l’altro.
La strumentazione culturale del Movimento fondato da un comico difficilmente consentirà una rinascita sul piano della battaglia delle idee
In questa situazione ci si muove a casaccio, nessuno sa bene cosa fare. In periferia si litiga. I parlamentari si agitano come mosche nel bicchiere. I ministri temono che venga giù tutto. La vecchia guardia, le Taverna, le Lezzi, le Ruocco, i Crimi, persino un redivivo Toninelli fanno velatamente sapere che sarebbero disponibili a dare una mano a “Luigi” ma questi, temendo di essere di fatto commissariato, rinvia ancora una volta il problema della formazione di un vero gruppo dirigente come ce n’è in tutti i partiti democratici. La calata a Roma di Beppe Grillo non è servita certo a chiarirsi con Di Maio, nel frattempo scappato in Sicilia, e quando Grillo tace è brutto segno.
In passato è accaduto che un partito che pareva sull’orlo dell’abisso si sia poi ripreso. Un partito con un retroterra culturale forte, un certo insediamento territoriale, un gruppo dirigente coeso certamente può farcela. Impossibile, secondo noi, che questo possa accadere al M5S, che appunto non dispone di nessuna di quelle tre condizioni. La strumentazione culturale del Movimento fondato da un comico difficilmente consentirà una rinascita sul piano della battaglia delle idee. I continui stop and go consentiti dalla vacuità delle regole interne sono segno di debolezza. Quanto alla coesione del gruppo dirigente, come detto, non esiste. Il leader annaspa. Malgrado Di Maio si affanni a dire che il governo non corre pericoli per Conte e Zingaretti lo stato comatoso del Movimento è un bel problema.