L’impiccio della post veritàEcco perché le formidabili prove contro Trump ancora non bastano a rimuoverlo dalla Casa Bianca

A sentire i democratici, l’impeachment sta andando bene, per i repubblicani è una caccia alle streghe. Ma a dare qualche speranza agli avversari del Commander in Chief c’è qualche piccolo segnale di cedimento, oltre al voto in Louisiana e alle primarie

Insomma, come sta andando il tentativo dei Democratici di mettere in stato d’accusa il presidente degli Stati Uniti Donald Trump? La risposta non può essere univoca. Se si ascoltano gli oppositori di Trump pare che ogni giorno ci sia una conferma, una testimonianza, una prova delle attività illegali del presidente. Se si crede ai conservatori, o se si leggono i tweet di Trump, si tratta invece di una grande caccia alle streghe e di tempo sprecato.

La versione liberal è decisamente più vicina alla realtà perché Trump ne ha fatte di ogni tipo e in tempi meno impazziti di questi sarebbe stato democraticamente rimosso poche settimane dopo l’insediamento alla Casa Bianca, ma è altrettanto vero che tutte queste nuove e avvincenti evidenze fanno flop perché nessuno sembra cambiare l’idea e lo schieramento di partenza: i Democratici ci trovano la conferma della colpevolezza, i Repubblicani dell’innocenza.

Il sito Politico, però, ha segnalato l’apertura di una piccolissima breccia tra i Repubblicani, i quali finora hanno sempre negato che Trump avesse mai ordinato agli ucraini di aprire un’inchiesta su Biden. Adesso, invece, dopo le prime audizioni pubbliche, ammettono che sono emersi dettagli interessanti sulla vicenda, ma a meno che spunti qualcuno che ha sentito Trump in persona dire che bisognava bloccare gli aiuti all’Ucraina non risulta ancora esserci materiale sufficiente per incriminare il presidente. L’ammissione a mezza bocca dimostra che la strategia dei Democratici è quella giusta e che i Repubblicani non sono riusciti ad alterare la narrazione del procedimento di impeachment, ma solo a sollevare polveroni per confondere le idee. Scrive Politico che «la sostanza dei fatti è che il presidente era concentratissimo sull’inchiesta contro i Biden, che gli aiuti economici all’Ucraina erano stati sospesi e che l’avvocato personale di Trump si agitava per distruggere la carriera dell’ambasciatrice in Ucraina, diffamandola pubblicamente e costringendola a rientrare a Washington prima della scadenza del mandato».

Il presidente sarebbe pronto a scaricare Rudy Giuliani, implicato fino al collo nell’Ucrainagate, e chissà come potrebbe reagire l’ex sindaco di New York diventato in questi anni suo spirugghiafaccende

I sondaggi svelano che, da quando è stata avviata la procedura alla Camera dei deputati, non si sono registrati smottamenti del consenso a favore dell’inchiesta né a favore della condanna, che resta leggermente pro inchiesta, +5,8%, e pro condanna, +2,8%, secondo la media dei sondaggi contabilizzata da RealClearPolitics.

Con i due partiti compatti nel mantenere il punto di partenza, è molto probabile che la Camera a maggioranza democratica metterà in stato d’accusa il presidente, e subito dopo il Senato a maggioranza repubblicana assolverà Trump, considerato anche che per una condanna è richiesta una maggioranza qualificata dei due terzi del Senato e, quindi, che almeno venti senatori repubblicani votino assieme a tutti i colleghi democratici.

Le audizioni pubbliche potrebbero ancora cambiare il corso delle cose, ma al momento non è successo e ogni nuova fenomenale rivelazione si aggiunge stancamente a quelle già conosciute senza intaccare la fiducia in Trump dei repubblicani.

Le ultimissime da Washington dicono che il presidente sarebbe pronto a scaricare Rudy Giuliani, implicato fino al collo nell’Ucrainagate, e chissà come potrebbe reagire l’ex sindaco di New York diventato in questi anni spirugghiafaccende di Trump. Anche la deposizione colpevolista di un consigliere del vicepresidente Mike Pence, sabato scorso, potrebbe far scattare il cortocircuito interno alla Casa Bianca che gli anti Trump cercano invano da mesi.

Qualche effetto politico però comincia a notarsi, anche se ancora di difficile interpretazione: in Louisiana, stato del profondo sud conservatore, è stato rieletto il governatore democratico John Bel Edwards nonostante il suo sfidante sia stato fortemente sostenuto da Trump e abbia abbracciato l’agenda politica del presidente.

A livello nazionale, il Partito democratico continua a radicalizzarsi a sinistra, nonostante il consiglio di Barack Obama di non esagerare. Allo stesso tempo, però, l’ultimo sondaggio sull’Iowa, il primo stato dell’Unione che il 3 febbraio voterà per scegliere lo sfidante di Trump, dà in testa Pete Buttigieg, il più centrista degli candidati democratici tolto Joe Biden (ed è un segnale anche per Biden, non solo per l’ala socialista dei Democratici).

Insomma, la costruzione politica dello stato d’accusa sta andando molto bene, ma nel tempo della post verità provare il comportamento antiamericano del presidente americano non è sufficiente a rimuoverlo dallo Studio Ovale né con le buone né con le cattive.

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