12-14 Novembre, Nairobi: Oltre seimila delegati da tutto il mondo si ritrovano al summit internazionale 25icpd, la conferenza internazionale sviluppo e popolazione, a un quarto di secolo dalla precedente omonima conferenza del Cairo, dove i capi dei paesi del mondo si erano impegnati ad emancipare donne e ragazze. In Italia non ne parla quasi nessuno, anche se il summit vede la partecipazione di diversi nostri esponenti politici, tra cui la viceministro degli Esteri Emanuela Del Re, l’ex presidente della Camera Laura Boldrini, la deputata Lia Quartapelle e il consigliere regionale della Lombardia Michele Usuelli. Obiettivo della conferenza, confrontarsi sui risultati raggiunti e continuare a lavorare sugli obiettivi di azzeramento della mortalità materna e neonatale, la promozione universale della salute sessuale e riproduttiva, inclusa la contraccezione, lo sradicamento della violenza di genere, del matrimonio minorile, delle morti legate ad aborti non praticati in condizione di sicurezza medica e delle pratiche di mutilazione genitale femminile. «Oggi il mondo punta a raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite entro il 2030 e la salute sessuale e riproduttiva universale è al centro di gran parte di questo programma: porre fine alla povertà, sicurezza, salute e benessere, realizzare l’uguaglianza di genere e realizzare comunità sostenibili, tra molti altri obiettivi. Sforzi urgenti e sostenuti per realizzare la salute e i diritti riproduttivi sono cruciali», si legge sul sito del summit.
«Nel 1994 179 governi hanno fatto promesse sul women empowerment e la leadership giovanile, riconoscendo che il diritto alla salute riproduttiva, l’emancipazione delle donne e la parità di genere sono fattori chiave dello sviluppo sostenibile. A 25 anni di distanza, i governi del mondo si sono ritrovati per valutare lo stato di avanzamento di queste promesse. Grandi passi avanti sono stati fatti, ma sarà impossibile raggiungere gli SDG (gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU, ndr) se non viene adottato il programma d’azione tracciato da questa conferenza internazionale», spiega il consigliere Usuelli a Linkiesta.
Intanto, a poche centinaia di metri dalla sede della conferenza, il governo Usa, quello del Brasile e quello del Senegal (paesi che non hanno partecipato al summit), organizzano una contro-manifestazione di segno opposto, sostanziata in sessioni sulla linea del “La cultura della morte semina morte, la cultura dell’amore irradia amore” e “Come l’aborto ferisce le donne: storie di donne abortiste”, invitando ministri e funzionari di paesi come gli Usa, il Brasile, l’Ungheria, la Polonia e il Senegal. All’esterno, a coronamento del quadro, gruppi di manifestanti esibiscono bambolotti ricoperti di finto sangue su bidoni della spazzatura, sventolando cartelli che citano “l’aborto uccide i bambini”. L’ambasciatore americano in Kenya pubblica un articolo su un giornale locale intitolato «Non dobbiamo permettere che i movimenti proaborto si impossessino del summit». Per via delle pressioni americane, il forum di oltre 100 parlamentari da tutto il mondo, che doveva tenersi nella sede del parlamento keniota, non viene più ospitato, come denuncia Laura Boldrini. «La rete clerico-nazionalista che ha mosso le recenti inchieste di Report sui rapporti tra i gruppi pro-life negli Usa e la Lega di Salvini, la stessa che ha promosso il congresso mondiale delle famiglie di Verona, era presente con i suoi soldi anche a Nairobi, dove ha azionato la macchina per screditare il summit», puntualizza Usuelli.
«Entro fine mandato, avremo parità di genere a tutti i livelli della direzione, per la prima volta. Questo cambierà il volto della Commissione»
21 Novembre, Bangkok: Papa Francesco è in viaggio in Thailandia e tiene messa in un affollatissimo stadio nazionale. Durante l’omelia, tocca uno dei temi più gravi per cui il paese è noto: il turismo sessuale e la prostituzione minorile. «Penso in particolar modo a quei bambini, bambine e donne esposti alla alla tratta, sfigurati nella loro dignità», dice. «Esprimo la mia riconoscenza al governo tailandese per i suoi sforzi volti ad estirpare questo flagello, come pure a tutte le persone e le organizzazioni che lavorano instancabilmente per sradicare questo male e offrire un percorso di dignità».
20 Novembre, Santiago del Cile: Le proteste nel Paese contro la presidenza di Sebastián Piñera proseguono da settimane, con conseguenze anche molto gravi sul fronte della violenza delle forze dell’ordine contro i manifestanti. Viene diffusa la notizia che Daniela Carrasco, un’attivista e artista di strada cilena di 36 anni, nota anche come “El Mimo”, è stata trovata impiccata ad una recinzione di un parco della città. Il collettivo locale “Ni Una Menos” denuncia: «è stata fermata dai militari e torturata fino alla morte» e fa un appello al governo e alla ministra Isabel Pla affinché sia fatta luce sulla morte dell’artista di strada. La notizia viene ripresa da molti giornali italiani, e il corrispettivo gruppo “Non una di meno” italiano scrive che il suo corpo è stato «esposto nella città metropolitana di Santiago del Cile come segnale di monito per intimidire chi, soprattutto se donna, sta partecipando alle mobilitazioni di questi giorni nel Paese». Il fatto verrà poi catalogato come probabile suicidio, posto che il referto medico non riporta la presenza di segni di violenze. È anche riconosciuto come estraneo alle proteste, poiché il ritrovamento era avvenuto il 20 ottobre, e quindi è precedente all’avvio delle mobilitazioni. Ma nel frattempo il caso è divenuto noto e diffuso ampiamente sui social network, perché altamente simbolico nel contesto delle violenze in atto nel paese. L’onda della fake news viene cavalcata.
25 Novembre, Italia: È la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Nel nostro paese, ogni 72 ore una donna viene uccisa da una persona di sua conoscenza, solitamente il suo partner; 3 femminicidi su quattro avvengono in casa; il 63% degli stupri è commesso da un partner o ex partner. Tra gennaio ed agosto 2019, il numero di femminicidi è aumentato, passando dal 37% del 2018 al 49%. Numerose sono le mobilitazioni di piazza da parte di associazioni e organizzazioni femministe, a partire dalla capitale, per sensibilizzare sul fenomeno. L’agenzia funebre Taffo, molto nota per la sua comunicazione ironica e d’impatto sui social network, spesso legata anche all’attualità italiana, condivide un post in occasione della giornata: la vignetta si intitola “Esistono due tipi di donne” e sotto viene riportata da un lato una bara, dall’altro la dicitura “quelle che denunciano”. Il post, come sempre molto visualizzato, raccoglie numerose critiche: «c’è poco da ridere»; «lo spot vittimizza le donne»; «è di cattivo gusto»; «questa volta avete toppato»; «Taffo non deve per forza fare ironia su tutto», si legge sui social. Ma l’azienda si difende: «Non importa se arriva qualche critica, se questo post serve a dare la forza o a far capire anche solamente ad una donna, la situazione in cui versa, noi abbiamo già vinto».
27 Novembre, Strasburgo: In occasione del suo discorso di insediamento alla guida della Commissione europea, Ursula von der Leyen dichiara: «Come prima donna presidente della Commissione europea, ogni membro del mio collegio avrà un gabinetto con parità di genere, e questo per la prima volta. Entro fine mandato, avremo parità di genere a tutti i livelli della direzione, anche qui per la prima volta. Questo cambierà il volto della Commissione».
La battaglia per i diritti delle donne pare ormai essersi ridotta a periodiche fiammate sulla tampon tax, al conto di quanti nomi femminili firmano le prime pagine dei giornali, al “preferisce sindaco o sindaca?” che tanta polemica generano, ma poi nella sostanza chissà davvero cosa cambiano
Questi sono solo alcuni degli avvenimenti che nelle ultime settimane hanno attraversato le cronache, italiane e mondiali, sul “macro” tema femminile. Fatti più e meno noti, che possiamo scommettere finiranno, presto o tardi, nel dimenticatoio. “Ah, sai quanti problemi ci sono al mondo”. “Però dai, si son fatti tanti passi avanti”, si dirà. Fatto sta che in un mondo di odiatori seriali, dove tutto si può dire e allo stesso tempo non si può più dire nulla, la sindrome del politicamente corretto ci ha anestetizzato anche sulla questione femminile. È diventata noiosa. Tutto è legittimo – la parità fra i sessi, il superamento del pay gap, la violenza liquidato con un “quello che ti picchia è un vile che non merita di stare al mondo“ e così via. Per la serie “le donne non si toccano neanche con un fiore” – abbasso il soffitto di cristallo e viva il burqini. Wow.
La battaglia per i diritti delle donne pare ormai essersi ridotta a periodiche fiammate sulla tampon tax, al conto di quanti nomi femminili firmano le prime pagine dei giornali, al “preferisce sindaco o sindaca?” che tanta polemica generano, ma poi nella sostanza chissà davvero cosa cambiano. E certo che la transizione culturale passa anche da lì, ma se lì ci si ferma, possiamo anche dimenticarci di raggiungere un qualche genere di parità entro i prossimi 200 anni. Il fatto è che la scarsa qualità del dibattito pubblico finisce per farci perdere la bussola rispetto a quelli che sono i problemi veri, problemi che superano la contingenza dei singoli casi e che alla fine (chissà perché) ci si ripresentano regolarmente sotto agli occhi. Nel frattempo, si apparecchia la tavola alle trovate pubblicitarie più becere: e vai con le campagne di modelle in carne, con le policy di gender parity nelle aziende sventolate come bandiere, con i #metoo trending topic. Sono evidenti nei casi citati sopra – per inciso, molto più nel caso di Daniela Carrasco in Cile che non della vignetta di Taffo Funeral Services: non trovate che non ci sia nulla di peggio che strumentalizzare la morte di una persona a fini propagandistici, senza nemmeno preoccuparsi di verificare la veridicità della notizia? E come fa, al confronto, la vignetta di un’impresa che non teme di prendere posizione e di mostrare i suoi valori, anche a costo di non piacere a tutti, suscitare uno scalpore mille volte maggiore?
Intanto la politica, l’economia, il mondo vanno avanti. E la questione femminile, in un modo o nell’altro, non ci entra quasi mai. È sempre una cosa “altra”, da disaminare a parte. Mentre invece (è l’ONU a dirlo!) è il sottotesto implicito della maggior parte delle questioni globali. Ignorare questo fatto è un’ingenuità che non dovremmo più poterci permettere. Stesso discorso per i problemi del terzo mondo (aka “paesi in via di sviluppo” per i politicamente corretti), sempre così distanti, così deliberatamente soprasseduti dall’etnocentrica stampa occidentale (le mutilazioni genitali? “Retrogradi africani”. Le spose bambine? “Ma quello era Montanelli”). Come se ciò che succede dall’altra parte del mondo non ci riguardasse, come se non fosse quello stesso atteggiamento di sostanziale superiorità intellettuale e culturale a fare da sfondo ad ogni molestia, discriminazione, violazione nei confronti delle donne anche qui, nelle nostre belle democrazie industrializzate. Che, fra le altre cose, se non si fosse notato sono state da qualche tempo messe sotto attacco da movimenti e partiti di estrema destra razzisti, omofobi e sessisti. Sorpresi?
Si può dire che la strada per l’emancipazione femminile parte proprio dalla volontà di non accontentarsi del marketing, rendendosi conto che tutte le più grandi battaglie di civiltà che abbiamo da combattere oggi sono femminili. E poi mettiamocele pure, le donne, nei consigli di amministrazione e alla guida delle istituzioni. Ma possiamo provare a ripensarlo davvero, questo modo in cui gira il mondo, cogliendo l’opportunità che la questione femminile offre per, ad esempio, riequilibrare aziende e non solo in senso più equo e orizzontale, piuttosto che ostinandosi a voler prendere il posto degli uomini, in una visione gerarchica e per sua natura esclusiva della società? Quando si capirà che l’empowerment femminile è una lotta che serve a tutti, e non solo alle donne? Ci vuole coraggio, certo. Ma ce la facciamo ad immaginarlo, almeno per un secondo, un mondo che sia diverso per davvero?