Non c’è un motivo valido, solidale ai malumori, o di rabbia, quella cieca dell’attuale momento politico. Stefano Bonaccini è stato un buon amministratore, parola di leghista (o almeno dei molti che si sono spacciati come tali all’esterno del Paladozza di Bologna dopo il raduno di Salvini). Quello che manca però, secondo quest’ultimi, è l’alternanza di ideologie: il rosso in Emilia-Romagna non sta più bene su tutto, e la moda nazionale invoglia verso una standardizzazione a quel verde campestre adatto per tutte le stagioni. Nonostante ciò, la rilevazione Winpoll sul Sole24ore dà il candidato dem oltre il 50% (senza l’apporto di M5S), con la leghista Borgonzoni attorno al 42%. Senza contare il voto di lista, nel quale invece il centrodestra supera il centrosinistra.
Non basta quindi la presenza scenica del Capitano a cancellare quanto di buono fatto in questa legislatura locale da Bonaccini. L’Emilia in questi 5 anni è cresciuta sino a valere circa l’11 per cento del Pil nazionale (terza regione in assoluto dopo Lombardia e Veneto), e anche se non è stata la migliore in questi termini come vuol far credere Bonaccini, dal 2014 al 2018 il valore aggiunto della regione – ovvero la qualità di ciò che si produce nel campo dell’innovazione tecnologica ma anche della creatività – è cresciuto del 5,5%, più della media nazionale (+4,5%). L’occupazione ha superato la soglia di 2 milioni di occupati, 94 mila in più rispetto alla media del 2014 (+4,9%), con la disoccupazione media degli ultimi mesi scesa al 5,8%, dal 9% di inizio legislatura, la quota di NEET, i giovani che non studiano né lavorano che segna un -4%, la riduzione degli abbandoni scolastici prematuri di un altro 2% e il tasso di scolarizzazione superiore che sale all’85% (+3,5%).
Ebbene sì, gli emiliani in questo turno elettorale si divideranno tra chi andrà a votare Lega e chi andrà a votare Stefano Bonaccini, non il Pd
Investimenti, salvaguardia dei prodotti locali e dei lavoratori, attenzione verso l’istruzione, accessibilità a welfare e sanità con l’abolizione superticket sanitari: tutte medaglie nella bacheca di quel Presidente dai modi vagamente hipster, che della propria figura ha fatto il perno delle sua ricandidatura. Ebbene sì, gli emiliani in questo turno elettorale si divideranno tra chi andrà a votare Lega e chi andrà a votare Stefano Bonaccini, non il Pd. Perché sia in piazza sia da casa, quello che passa dall’immagine del candidato dem è la solitudine, molto spesso voluta. Nei social, Bonaccini compare sempre a nudo, senza loghi o richiami al suo partito. Nella campagna facebook, instagram, twitter di colui che è stato Bersaniano, Renziano e infine seguace di Zingaretti, non c’è traccia del Partito democratico. Come biasimarlo, penseranno in molti: non si parla di nazionali, bensì di amministrative, e il rilancio dell’economia e dell’occupazione, oltre che un rafforzamento del sistema formativo e di protezione sociale con una programmazione regionale che ha messo a disposizione di questi obiettivi 22,3 miliardi nel 2019, è tutta farina del suo sacco.
Secondo la Borgonzoni, il governatore uscente “Si vergogna di Zingaretti e Renzi”. Tana libera tutti: mai parole furono più vere. Perché? È semplice. Mentre Salvini studia e mette a punto l’unica arma in grado di spostare il focolaio nevrotico che attraversa il Paese sul tema dell’immigrazione a livello regionale, in quanto l’Emilia-Romagna è la prima regione in Italia per numero di stranieri, al primo gennaio 2019 oltre 551 mila con un incremento rispetto al 2017 del 2,2 per cento, il Pd di Zingaretti fa il pieno alla tanica di benzina con cui la Lega infiamma le folle reclamando a gran voce lo Ius soli. Sacrosanto, ma forse leggermente fuori fuoco (ora per le elezioni in vista, ora per la situazione in cui versa il Paese dopo il forte maltempo). Dall’altra parte, invece, in Renzi Bonaccini vede un alleato per un suo grande obiettivo, quello dell’autonomia: la versione emiliana è più “soft” e potrebbe garantire equità nelle concessioni, ma per fare breccia e aprire un sentiero stretto a un approccio Pd-M5s serve un nome in grado di spostare la bilancia, ovvero quello di Matteo Renzi – anche se attribuita in toto a Gentiloni, la Pre-Intesa siglata da Bressa che ha aperto alle rivendicazioni delle regioni del Nord, porta in calce anche la firma del leader di Italia Viva.
In quelle comunità dove lo slancio economico non si è fatto sentire, dove le piccole attività frenano dello 0,9% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, la scollatura tra Pd e il proletariato della regione rossa ha messo da parte il retaggio storico e sociale di essa stessa
Certamente aver portato il Pil regionale ai livelli del 2008, e aver mantenuto la povertà relativa su livelli contenuti (nel 2018, in Emilia-Romagna vivono in condizioni di povertà relativa il 5,4% del totale delle famiglie residenti in regione, a fronte dell’11,8% dell’intero territorio nazionale), sono punti in più nel pallottoliere del governatore dem. Ma non si può fare a meno di consumare un laico e breve rito funebre per il Pd, ancor prima del voto: il rosso del partito è comunque svanito, sia dagli slogan sia dall’anima decentrata della regione.
Non è un caso se nei piccoli borghi alle elezioni europee la Lega ha superato il Partito Democratico di 56mila voti, e altri 235mila ne hanno presi insieme Fratelli d’Italia e Forza Italia. In quelle comunità dove lo slancio economico non si è fatto sentire, dove le piccole attività frenano dello 0,9% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, la scollatura tra Pd e il proletariato della regione rossa ha messo da parte il retaggio storico e sociale di essa stessa. Capita, e il voto inedito cittadino e rurale non è un’esclusiva emiliana: sta cambiando la geografia e basta uscire dal centro delle “elitarie” città per imbattersi in realtà diverse, inclini a votare al di fuori dei vecchi schemi dei partiti. Quelle realtà che si sentono ignorate a confronto del trattamento riservato ai migranti; quelle realtà cui si rivolge Salvini e del quale Zingaretti fa specchio per mostrare la sua pallida idea di sinistra.