La frana dei sovranistiSalvini ci ha venduto la balla dell’emergenza migranti, smantellando la task force contro i dissesti idrogeologici

L’incompetenza delle classi dirigenti e la demagogia dei populisti sono alla base dei disastri di questi giorni. Uno dei primi atti del Conte 1 è stato quello di azzerare Italia sicura, la struttura del governo Renzi che ha sbloccato due terzi dei 1700 cantieri

Guardando i telegiornali di questi giorni sembra incredibile che, fino a pochi mesi fa, il nostro Paese fosse convinto che la prima emergenza nazionale, la priorità assoluta delle politiche governative, la “top news” ineludibile di ogni giornata, fosse lo sbarco di qualche centinaio di migranti o richiedenti asilo e il conseguente timore di un piano di sostituzione etnica che cancellasse lombardi, liguri, romagnoli, ciociari, per mettere al loro posto ghanesi o marocchini.

Le cronache del disastro idrogeologico di novembre parlano dell’incompetenza delle classi dirigenti ma anche di noi, noi italiani, un popolo che il mondo considera intelligente e persino sofisticato e però così politicamente poco avvertito da non accorgersi che la casa gli sta franando sotto i piedi e che la prospettiva più credibile non è l’invasione degli immigrati ma la desertificazione e l’abbandono dei 7.275 Comuni classificati ad alto rischio per il combinato disposto tra frane e inondazioni.

Chi volete sia disposto a restaurare una casa invasa dal fango che fra un anno o due sarà nuovamente devastata? Chi credete che possa tenere aperta un’azienda sotto la minaccia dell’ennesima esondazione del Tanaro, del Polcevera o del Bisagno? La Ferrero di Alba è stata costretta a chiudere gli impianti a 24 anni esatti dall’alluvione del ’94 che si portò via anche una decina di vite umane ed è la seconda volta che succede negli ultimi due anni: è un’azienda abbastanza grande per decidere di restare, ma quanti soggetti più piccoli si faranno due conti e diranno “meglio andarsene”?

Sulla gestione territorio si sono combattute guerre politiche assai più concrete tra addetti ai lavori, lobbisti, portatori di interessi confliggenti massimamente interessati a conservare o implementare i loro rispettivi poteri di azione

Mentre noi eravamo occupati a straparlare di Piano Kalergi, sulla gestione territorio si sono combattute guerre politiche assai più concrete tra addetti ai lavori, lobbisti, portatori di interessi confliggenti massimamente interessati a conservare o implementare i loro rispettivi poteri di azione e/o interdizione sulle opere pubbliche piccole e grandi.

Per avere un’idea della partita si consideri che in Italia sono 3.600 gli enti che si occupano di contrasto al dissesto idrogeologico, una proliferazione tumorale, mostruosa, che incrocia le sue competenze con gli enti locali e l’autorità centrale – il ministero dell’Ambiente, quello dell’Agricoltura e le Infrastrutture – in un confuso reticolo di commissari regionali, titolari dei Parchi, magistrati delle acque, e ovviamente Protezione Civile, Demanio, ministero dell’Interno e ministero per il Sud (non sia mai detto che qualcuno resti tagliato fuori).

Il primo atto del conflitto risale all’insediamento del governo gialloverde, nel giugno 2018, all’inizio dell’estate del “Cambiamo tutto”. Fra le prime decisioni del nuovo esecutivo Di Maio-Salvini c’è l’azzeramento di Italia Sicura, la struttura di Palazzo Chigi inventata da Matteo Renzi per compattare le competenze e facilitare l’iter burocratico delle opere di tutela territoriale e delle ristrutturazioni scolastiche.

Secondo il suo dirigente, Erasmo De Angelis, ha avuto un certo successo, sbloccando due terzi dei 1.700 cantieri aperti all’epoca in Italia e consentendo un migliaio di interventi nelle scuole

Secondo il suo dirigente, Erasmo De Angelis, ha avuto un certo successo, sbloccando due terzi dei 1.700 cantieri aperti all’epoca in Italia e consentendo un migliaio di interventi nelle scuole. E tuttavia i ministeri non vedono l’ora di riprendersi le loro potestà in via esclusiva: così, addio Italia Sicura («Era solo uno spot di Renzi » diranno per giustificare l’abolizione) e restituzione delle competenze all’Ambiente (quota M5S) e all’Istruzione (quota Lega).

Poco più di un mese dopo il crollo del Ponte Morandi accende i riflettori su infrastrutture e territorio e obbliga a riaprire la partita del “che fare”. Il ministro Danilo Toninelli ne approfitta per inventarsi una nuova agenzia tutta sua: si chiamerà Ansfisa e si occuperà di sicurezza delle ferrovie e delle strade, insomma dei 7.317 ponti, viadotti e tunnel gestiti dalle concessioni autostradali oltrechè dell’intera rete dei treni.

Occuperà 500 persone, quasi tutti ispettori qualificati. Sarà una super-task force. Ovviamente non se ne è fatto niente: l’Ansfisa formalmente c’è, ha persino un presidente, ma siccome mancano ancora statuto e regolamento è poco più di un ente fantasma. Ora il governo Conte Secondo sta pensando di sdoppiarla in due, separando strade e ferrovie: auguri.

Sono due casi di prima grandezza che incrociano le notizie di questi giorni sui torrenti esondati e i ponti crollati, ma spiegano bene lo stato dell’arte e l’emergenza vera e silenziosa che il Paese ha vissuto negli ultimi anni: non le Ong, non Carola, non i 35 euro al giorno spesi per ciascun migrante, ma una paralizzante contesa di potere sulla spesa pubblica destinata alla difesa del nostro territorio, delle nostre case, delle nostre imprese, che poi – a pensarci bene – dovrebbe essere la prima mission di qualsiasi sovranismo che si rispetti. Senza suolo, o con un suolo che frana a ogni temporale ragguardevole, difficile immaginare una Nazione padrona di sé e del suo destino.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter