Quesiti linguisticiChe lavoro fa il “fondachiere”? Risponde la Crusca

È un prestito dall’arabo, che si riferisce al “funduq”, l’alloggiamento dei mercanti. Ecco come è finito nella lingua italiana

Tratto dall’Accademia della Crusca

Fondachiere è (con fondacaio, fondacaro o sporadicamente fondachista) uno dei derivati del termine fóndaco, prestito dall’arabo funduq ‘alloggiamento per mercanti’, a sua volta derivato del greco pandok(h)eîon ‘albergo’ (DELI, L’Etimologico s.v.). La prima attestazione di fondaco in un volgare italiano risale (nella forma fontego) ai primi anni del XIII secolo (1207-1208) in un volgarizzamento di area veneta conosciuto come Patto del Soldano di Aleppo (cfr. TLIO s.v.). Fondaco e varianti secondo il TLIO risultano presenti nello stesso XIII secolo anche in testi toscani, in particolare senesi, pisani e fiorentini; nel secolo successivo si trovano attestazioni in documenti lucchesi e pistoiesi, e poi veneziani, romani, perugini e siciliani.

Troviamo la prima attestazione di fondachiere nel pisano Breve dei consoli della Corte dell’Ordine de’ Mercatanti dell’anno MCCCXXI e altre ancora risalenti alla prima metà del secolo XIV in testi di area pisana e fiorentina. Un po’ più antica la prima attestazione di fondacaio nel Breve dell’Arte della lana di Pisa datato 1304. Infine troviamo per la prima volta la forma fondacaro in un testo siciliano anch’esso della prima metà del XIV secolo. Soltanto i primi due termini sono registrati nel Vocabolario degli Accademici della Crusca: fondacaio già nella II edizione (1623), mentre fondachiere appare nella III (1691).

Queste tre voci, costruite applicando alla base fondaco esiti diversi del suffisso latino –arius (cfr. le schede Non sempre un portiere è un portinaio, Verduriere o verduraio? Verduraio o verdumaio?, Fiorista/fioraio e gelatiere/gelataio: professioni diverse o no?), si riferiscono a una persona la cui attività è legata al significato assunto da fondaco in luoghi e tempi diversi.

Dato il rapporto con il commercio e con la sua regolamentazione (evidente anche dal carattere delle prime opere che testimoniano le voci) possiamo trovare una rassegna dei valori assunti dal termine in un’opera specialistica, il Dizionario del linguaggio italiano storico ed amministrativo di Giulio Rezasco di cui diamo una sintesi [nostri i neretti e i commenti tra parentesi quadre]:

FONDACO e, secondo i dialetti, FONDICO, FONTICO, FONDEGO, sust.
I. Dogana [questo valore è riscontrato in testi di autori toscani a partire dal Decameron di Boccaccio e anche in testi a carattere tecnico senesi e pisani]
II. In Pisa, in Fermo, e forse in altri luoghi, ove il Fondaco della Dogana non era, o non bastava, Stanza terrena, talora con sopra altre stanze, condotta da privato, il quale per mercede tassata dagli Statuti la concedeva in Pisa a’ mercanti cittadini o forestieri, che vi riponessero lor mercanzie e ve le vendessero, ma egli non poteva riporvi le sue; e coll’obbligo di tenere i registri di quelle mercanzie e delle vendite a disposizione de’ Consoli de’ Mercanti e di ubbidire alle loro prescrizioni; in Fermo, colla facoltà a’ mercanti, come facevano nelle Dogane pubbliche, di vendervi le loro merci senza dazio alcuno, purché esse non si fermassero nella città, contado e distretto; qualche cosa di simigliante ai Punti franchi de’ moderni […]
III. Gabella del Fondaco o Fondaco semplicemente. Particolarmente in Sicilia ed in Puglia, gabella imposta dall’imperatore Federigo nel 1220 [e poi gabella sulle merci in ingresso a Messina o a Napoli]
IV. Grande casamento, o Ceppo di case che per concessione del Signore del luogo, ed a fine di agevolare lo spazio delle derrate e merci di più paesi, ove i mercanti di Nazione forestiera raunavano e tenevano sotto la fede pubblica lor mercanzie, scritture e danari, e vi esercitavano lor traffici; ed ove, almeno in qualche luogo e tempo abitavano altresì gli stessi mercanti e il loro Consolo. [È la base del ghetto: una sorta di area circoscritta ai mercanti di una determinata origine: così a Venezia il Fontego dei Tedeschi]
V. VI. [sono il Visdomino del fontego dei Tedeschi a Venezia e il nome di una via di Siena]
VII. Emporio
VIII. Pubblico granaio
IX. Specialmente nel Veneziano, e nell’Istriano, il Magazzino o la Canova, ove si riponevano le biade e le farine del Comune provenienti da terratici, e simili rendite pubbliche; le quali biade e farine il Fonticaro o Fondacajo vendeva di mano in mano a’ cittadini…
X. Vero Monte frumentario in Trieste, ove provvide all’Annona prima co’ danari del Comune e poscia co’ suoi; in Verona, ove aveva entrate proprie, fornite dalle Arti e da elemosine, ed ove esso si apriva nelle carestie, somigliante al Monte della Farina di Modena; ed in Treviso, ove era governato da Conservatori eletti dalle Arti e da elemosine.
XI Nel Napoletano, anche Camera del sale
XII In Modena, la Stanza ove gli Ufficiali de’ Monti tenevano la residenza. [s.v. si dice che il Fontico poteva essere anche “del Monte di Pietà”]
[…]

Da questa rassegna delle realtà diverse indicate con il termine fondaco possiamo dedurre che la figura del fondachiere (o fondacaio, fondacaro, fonticaro, ecc.) poteva assumere diversi profili e svolgere mansioni diverse: poteva essere l’esattore di un canone dai mercanti le cui merci ospitava e custodiva nel locale assegnatogli – e in questo caso doveva documentare il traffico di merci e renderne conto; poteva essere il distributore di biade e farine ai concittadini in tempi di carestia o il supervisore di un ufficio doganale; poteva avere l’incarico di gestore del locale in cui il sale veniva depositato, registrato, messo in vendita; o poteva essere il gestore di un’agenzia di prestiti su garanzia di oggetti dati in pegno.

La figura del fondachiere poteva assumere diversi profili e svolgere mansioni diverse: esattore di un canone dai mercanti, supervisore di un ufficio doganale, gestore di un’agenzia di prestiti

Ciò che accomuna questi profili è il rapporto con l’amministrazione pubblica alla quale il gestore del fondaco era tenuto a rendere conto, diventando come un intermediario tra essa e i mercanti o i cittadini.

Ai valori storici della voce fondaco si deve poi aggiungere un ulteriore significato ottocentesco attestato dal GDLI come regionalismo, che potremmo definire di area campana, visti i riferimenti a Napoli di tutti i testi citati [nostri il neretto e lo scioglimento dei rimandi bibliografici]:

Seminterrato, adibito ad abita­zione poverissima. Periodici popolari del Risorgimento, 1818-1870, I-60: Gittate gli occhi, di grazia, per entro que’ miseri abituri, chiamati a Napoli fondi e altrove fondachi, ché le son caverne e non altro. Matilde Serao, Il ventre di Napoli, 1884, in Opere, a cura di P. Pancrazi, 1944, vol. I, p. 1098: Le quattro viottole cieche che salgono da Santa Lucia verso la collina, valgono i ‘fondaci’ del quar­tiere Mercato, per il luridume. B. Croce, Storia d’Italia dal 1871 al 1915, 1928, p. 85 dell’ed. 1959: Le misere condizioni igieniche e morali del popolino di Napoli, i «fondachi», i «bassi», la «camorra», furono rese note dal Fucini. Massimo Bontempelli, Stato di grazia, 1934, p. 135 dell’ed. 1942: Napoli li diverte [i forestieri] con i bassi dietro Porta Capuana, i brulicami di avanzi umani vivi rovesciati a ceste giù per i fondachi.

Questo valore sembra collegabile a quanto testimoniato nella lessicografia dialettale sette-ottocentesca di area napoletana: nel vocabolario di Galiani (1789) funneco [sic] è fondaco, e casa matta, lat. fornix propria della plebe, e delle bagasce”, mentre in quello di D’Ambra (1873) fùnneco è “Fondaco […] 2. Vico rotto, vietta cieca, Ronco […] 3. Chiassuolo, o Corte, dove abitano artieri, ed operai diversi” e funnachiero “Abitante di fondachi, che son maniera di Ronchi cui si entra per un arco 2. detto di donna è parola d’oltraggio, Ciana, Donnaccia. 3. Rivenditore a ritagli. [ronco “Strada che non ha uscita”; a ritaglio “Al minuto” in Tommaseo-Bellini]

Riportiamo altre testimonianze dal panorama della lessicografia dialettale. Al Nord della penisola (come notato da Novelli 1989 alla voce fondichiere ‘proprietario, gestore di un fondaco, di una bottega’) il piemontese fondiché registrato nei dizionari di area e il milanese fondeghée presente nel vocabolario di Cherubini (1814) hanno il solo significato di ‘droghiere’. Il bergamasco fondeghér nel vocabolario di Tiraboschi (1862) viene genericamente equiparato a fondachiere ‘chi tiene il fondaco’ e fondacajo ‘padrone del fondaco’, mentre per il genovese il dizionario di Casaccia (1851) testimonia fondeghé “Quegli che tien bottega o magazzino e rivende il vino a minuto” e fondego “Luogo dove si vende il vino a minuto”. Infine Ferrari (1820) per il bolognese fundghir segnala il valore particolare di “Mercante di legnami. Colui che incetta legnami, mattoni, cannucce, calcina, e simili materiali per uso di fabbricare e li vende al minuto”.

Per il Sud, oltre a quanto già visto per l’area napoletana, disponiamo delle testimonianze novecentesche di Giammarco (1968-1990) che per abruzzese e molisano riporta fónəchə [e varianti] “fondaco, luogo di deposito, f. de le ranə granaio // bottega dove si vende la mercanzia”, nəchə “negozio dove si acquista un po’ di tutto” e funəchjére “venditore di tessuti”. Per il Salento Rohlfs (1956-1961) testimonia solo la forma funəchirə che equipara a fondacaio. Lo stesso autore dà informazioni più dettagliate nel suo Dizionario dialettale delle tre Calabrie (1932) dove fùndacu [e varianti] indica “fondaco, bottega, magazzino nel pianterreno di una casa, rivendita di sale e tabacco”, fundacaru è il “padrone del fondaco” e fundacheri è “padrone del fondaco o rivenditore di sale e tabacco”. Per la Basilicata Bigalke (1980) dà fùnnəkə per “fondaco e anche bottega”. Più articolato il valore testimoniato per il siciliano da Giorgio Piccitto (vol. II 1985): fùnnacu vale “Stallaggio, stalla pubblica con possibilità di pernottamento anche per le persone. 2. locanda, osteria, 3. mercato”; funnacaru e fundacaru “proprietario o gestore di un fondaco 2. oste 3. persona volgare”; fundacara “donna sguaiata, di facili costumi”.

Questa molteplicità, testimoniata per l’antico e almeno in parte sopravvissuta nei dialetti, non appare appieno nella lessicografia di lingua: nel Tommaseo-Bellini (1861-1879) fondachiere (così come il fondacaio dato ormai come desueto) è semplicemente un “Maestro di fondaco” e il fondaco indica una realtà relativamente complessa:

1. Luogo dove sono deposte merci di molti o d’un solo, per venderle quivi, o altrove portarle a usi commerciali.
2. Bottega dove si vendono panni e drappi.
3. [M.F.] Chi ha fondaco.
4. Per Parte della città, dove abitano tutti uniti e separati dagli altri quelli di alcuna nazione forastiera.
5. Trasl. Gran copia, Grande abbondanza di checchessia.

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