Si dice che dopo una forte tempesta esca sempre il sole. Nel caso di Forza Italia, all’orizzonte, si intravedono al momento nient’altro che nubi. Nubi dense e cariche di pessimi presagi. Il partito del Cav naviga a vista, sballottato tra le numerose correnti che ne increspano la via. I rumors di una crisi d’intenti e di posizioni tra Mara Carfagna e Silvio Berlusconi hanno preso spessore e adito: gli incontri fuori e all’interno delle stanze istituzionali aumentano, la diffidenza verso la scelta di comporre una costola del trittico di piazza San Giovanni con Matteo Salvini e Giorgia Meloni si è trasformata in disapprovazione e quell’orgoglio da ex primatisti cela la volontà di un regolamento di conti.
Gli azzurri sono spaccati e consapevoli di esserlo. Fonti parlamentari azzurre mappano uno scollamento da Palazzo Grazioli sia in senso ideologico sia in termini geografici. Alla distensione degli animi tra la vicepresidente della Camera dei deputati e Berlusconi, è infatti succeduto lo strappo di Gianfranco Rotondi, politico ed ex ministro senza portafoglio del governo Berlusconi IV, che ha evidenziato a Linkiesta come «in generale, la linea politica sia stata sbagliata, senza la possibilità adesso di poter porre rimedio». Di maggior clangore, però, è l’altra staffilata di Rotondi, in merito alla paternità assegnatali per un Movimento Sudista in odore forzista: «L’idea e il suggerimento mi è arrivato dai circoli intellettuali e dagli ambienti accademici. Stranamente queste voci sono giunte sopratutto dal Nord e dalla Lombardia, dove si crede che la questione meridionale possa essere anche il solo tema in agenda di un partito. Posso solo dire che c’è un dialogo serrato con queste realtà che si oppongo all’egemonia salviniana». E che trovano, per origini e filosofia, proprio in Mara Carfagna «una sponda solidale e di condivisione». In forza anche di una quasi certa presentazione del candidato del centrodestra Stefano Caldoro, preferito alla Carfagna, non del tutto apprezzato dai militanti locali del partito.
Il 2020, detto ciò, si fa ambasciatore di nuove pene, con amministrative e regionali in grado di rivelarsi dolorosi infortuni per Fi: a partire da Toti, la cui idea di fare la sinistra del centrodestra cozza con la decadenza forzista, fino ad arrivare alla ben nota situazione campana
La nuova livrea di Forza Italia potrebbe quindi intrecciarsi in terre lontane dall’hub settentrionale che per molti anni ha rappresentato il principale bacino elettorale e che adesso, invece, registra casi come quello di Davide Bendinelli in Veneto, storico coordinatore regionale, sindaco di Garda e deputato, che con molte probabilità da FI traslocherà a Italia Viva di Matteo Renzi. Prima di lui altri due consiglieri azzurri regionali, Massimo Giorgetti ed Elena Donazzan, sono passati a Fratelli d’Italia, affossando un quadro già drammatico di suo che vedeva un Fi fermato alle ultime europee al 6 per cento (contro il 33 del 2001).
La spaccatura da Nord a Sud porta con sé la consapevolezza che tutto può cambiare e niente è certo prima della legge elettorale. Le preferenze dei berluscones virano verso un modello proporzionale, in necessità di una maggiore stabilità e compatibile con ferrei criteri di rappresentanza. La stessa rappresentanza “picconata” dalla riforma del taglio dei parlamentari firmata Movimento 5 stelle e per cui molti ex uomini del Cav e in particolare di Giovanni Miccichè, presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, hanno deciso di lasciare il partito per, in caso di chiamata alle urne, un porto più sicuro come Lega e Fratelli d’Italia.
Proprio così, nella stessa aerea dove sta per essere posta la pietra angolare del Movimento Sudista, figure come Antonino Minardo, deputato nazionale in Forza Italia dal 1999, hanno ufficializzato il passaggio alla Lega, preceduto dall’addio di Salvo Pogliese e Basilio Catanoso, diretti a Fratelli d’Italia, e della famiglia Genovese a Messina. Insomma, il messaggio che si vuol far passare è quello di un’azione concordata per aiutare l’alleato in Sicilia.Forza Italia, ricapitolando, può vantare più correnti che deputati. Del resto non mancano a scaldare gli animi i fattori esterni che, come canti delle sirene, continuano a corteggiare i big del partito; l’Opa lanciata dalla Bellanova a Renata Polverini e Mara Carfagna è solo lo schiudersi di una ragnatela che finirà per fagocitare gli azzurri, prima di quanto si possa immaginare. Dalle fila del partito si detta infatti una futura dead line, forse più per sfatare un epilogo, alla prossima primavera, salvo elezioni anticipate le quali vanificherebbero quanto detto fin qui. Il 2020, detto ciò, si fa ambasciatore di nuove pene, con amministrative e regionali in grado di rivelarsi dolorosi infortuni per Fi: a partire da Toti, la cui idea di fare la sinistra del centrodestra cozza con la decadenza forzista, fino ad arrivare alla ben nota situazione campana.
Non è una novità che alle spalle del Cav ci sia chi un disegno per il futuro lo ha ben fisso in mente da un bel po’ di tempo, da quando la barzelletta sul Bestetti riusciva ancora a far brillare qualche sorriso
I fuochi incrociati in casa azzurra, in questo bagno di sangue, non finiscono qui. A chi vorrebbe rifondare dall’interno il partito, la risposta che sembra essere l’unico punto a mettere d’accordo i militanti è “Un successore di Berlusconi non esiste e non potrà mai esistere”. Non è una novità, che si mettano l’anima in pace i nostalgici. Come non è una novità che alle spalle del Cav ci sia chi un disegno per il futuro lo ha ben fisso in mente da un bel po’ di tempo, da quando la barzelletta sul Bestetti riusciva ancora a far brillare qualche sorriso. Energie fresche che se lasciate troppo in panchina rischiano di bruciarsi nello stesso fuoco sul quale pendono le sorti in Altra Italia del sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, protagonista di un ulteriore capitolo del bestiario forzista nel quale la creatura del Cav diventerà una scialuppa di salvataggio (e Forza Italia la bad company destinata ad affondare) per rimanere a galla e diventare la federazione dei movimenti moderati in capo a un’alleanza centrista saldata anche con Renzi.
Le diverse sensibilità, pertanto, stanno piegando senza tuttavia spezzare la tenuta di un partito che deve guardarsi dagli attacchi esterni per contenere i salassi in vista di elezioni, nazionali e regionali, alle quali si presenterà ora come stampella di una colazione sovranista ora come perdente in partenza in quanto macchietta di valori liberali perduti con la fine della Seconda Repubblica. Ma del resto, chi lo sa, le cose potrebbero andare anche peggio.