Quando si vince non si cambia la squadra, soprattutto se è quella che, dal 2013 a oggi, ha fatto incassare alla Disney più di mille miliardi di dollari (escluso l’indotto del merchandising) e ha creato un vero e proprio franchise, con musical, spin-off ed episodi cross-over e, soprattutto, ha avuto un impatto globale a livello culturale. Per capirsi, nel 2014 negli Stati Uniti il nome “Elsa”, quello della regina protagonista, è schizzato nella classifica dei primi 100 in America. Cosa mai avvenuta prima (se l’Italia fosse un Paese serio, qui sarebbe dovuto succedere nel 2011, ma lasciamo stare).
Per questo e altri motivi Frozen II: Il segreto di Arendelle, era una produzione ovvia, anzi: doverosa.
La squadra non è, appunto, cambiata: a tre anni dagli avvenimenti del primo film, al centro ci sono ancora le due sorelle Elsa e Anna. Quest’ultima si accompagna al fidanzato Kristoff, simpatico bamboccione, con la fida renna Sven e il pupazzo di neve Olaf che grazie ai poteri magici di Elsa non si scioglie più (o sì?…). Anche il regista, Chris Buck, è lo stesso, insieme a Jennifer Lee, mentre il soggetto è tutta una novità, mancando rispetto al primo film la classica favola di riferimento (per il primo film era La Regina dei Ghiacci di Hans Christian Andersen – cui si fa un fuggevole cenno nella scena più importante del film).
Come tutti i sequel, Frozen II ha l’onere di cucire una storia nuova su personaggi già conosciuti. Ma ha anche la fortuna di poter scegliere la strada del background, e lo fa, sviluppando una trama del passato. Tutto il film del resto poggia su una domanda: da dove vengono i poteri magici di Elsa? Per scoprirlo la regina, richiamata da un canto misterioso proveniente da una terra lontana, si incammina insieme alla sorella e al resto della banda verso la foresta incantata (della cui esistenza si parla in un flashback che risale all’infanzia delle due protagoniste, presentate mentre giocano nel castello). Nella missione dovranno anche ristabilire l’equilibrio degli elementi magici della natura, risvegliati dalla stessa Elsa, che minacciano di distruggere il regno. Il tutto, come è da aspettarsi, in mezzo ad avventure inimmaginabili, separazioni dolorose, incontri straordinari e canzoni già confezionate per essere dei classici.
È attraverso la missione e il sacrificio di Elsa e Anna che si crea una palingenesi. Riparando a un peccato originale, le due sorelle ristabiliscono l’ordine della natura. E consolidano la loro autorevolezza
C’è, è vero, un disordine iniziale della trama. Nei primi minuti la storia fatica a prendere ritmo, la si segue più grazie alla bellezza di certe invenzioni sceniche che per la persuasività dell’intreccio. Poi, approdando alla classica forma narrativa del viaggio avventuroso, guadagna in potenza. È lì che la quête interiore di Elsa, che dopo aver imparato a convivere con i suoi poteri deve scoprire come adoperarli per il bene di tutti, si aggancia a quella, altrettanto drammatica, della storia della famiglia. La volontà di trovare la verità ai suoi interrogativi la condurrà, tra mille ostacoli, fino al leggendario fiume Ahatollan, che contiene tutte le risposte.
E saranno dolorose. Il film si trasforma così in una parabola di redenzione e riparazione, di errori storici e sacrifici, fino ad abbracciare – per chi le vuole vedere – questioni più ampie: ecologismo, minaccia climatica, decrescita felice, unione tra i popoli, fino al già dibattuto tema dell’inclusività Lgbtq (si possono leggere tanti segnali, scantonati dagli autori, sull’orientamento sessuale di Elsa). È però un altro il punto centrale, intorno a cui ruota l’azione: la volontà di farsi perdonare i crimini del passato. In altre parole, il senso di giustizia.
Non è un caso che questo compito delicato tocchi, tra i vari personaggi Disney, proprio a Elsa e Anna, protagoniste assolute anche nel sequel. Si può dire che il principe azzurro, concetto in crisi già da tempo e sbeffeggiato nel primo film del 2013, sia del tutto accantonato. E che il motore immobile dell’azione non è mai l’amore (anche se citato), ma la responsabilità individuale, l’affetto tra sorelle, la volontà di trovare risposte. A loro toccano le scelte più importanti e le azioni più coraggiose (mentre il buon Kristoff, il fidanzato impacciato, resta sullo sfondo, anche se assolve al suo dovere protocollare di salvare intervenendo all’ultimo momento la fidanzata in pericolo). E, in ultima analisi, è attraverso la missione e il sacrificio di Elsa e Anna che si crea una palingenesi. Riparando a un peccato originale, le due sorelle ristabiliscono l’ordine della natura. E consolidano la loro autorevolezza.
Insomma, il film finisce bene (forse però non nel modo che ci si aspetta). Quello che resta, al termine della rivoluzione, è un messaggio abbastanza universale per non offendere nessuno, ma anche abbastanza preciso, che ricorre più volte: «quando non si può vedere il futuro – dicono – bisogna scegliere di fare la cosa giusta». Vale per un mondo che deve fare i conti con le sue colpe storiche, con le sue responsabilità nei confronti della natura, e con le sue scellerate evoluzioni politiche. Le due protagoniste, mettendo a repentaglio tutto ciò che hanno di più caro (compreso il regno), fanno la cosa giusta. E, visto che il film ha già incassato più di 300 milioni di dollari in una settimana, si può dire che la abbia fatta anche la Disney.