«Non abbiamo incassato nessun grande risultato». Manca circa mezzora a mezzanotte quando il premier Giuseppe Conte, evidentemente provato, rilascia le sue dichiarazioni in una breve conferenza stampa a Palazzo Chigi, dopo quattro ore di trattativa serrata con i proprietari del colosso siderurgico ArcelorMittal, Lakshimi Mittal e il figlio Aditya, affiancato dai ministri dell’Economia Roberto Gualtieri e allo Sviluppo economico Stefano Patuanelli.
L’amministratore delegato di ArcelorMittal Italia Lucia Morselli entra nella stanza del negoziato solo a tarda sera, ed è il segno che la fumata nera sul futuro dell’ex Ilva non c’è stata. Ma neanche quella bianca. È questa l’unica vera notizia dell’attesissimo incontro, dopo la porta sbattuta l’ultima volta dai francoindiani. «I signori Mittal si sono resi disponibili ad avviare immediatamente una interlocuzione volta a definire un percorso condiviso sul futuro delle attività dello stabilimento ex Ilva», scrive Palazzo Chigi in un comunicato. Una «mutata disponibilità», ha precisato Conte. Anzi, «grande apertura». La trattativa, insomma, è aperta. I toni si sono abbassati. I Mittal, col fiato sul collo delle indagini delle due procure di Taranto e Milano, per il momento rimangono. Ma la storia del futuro del sito di Taranto sarà ancora molto lunga e con molti colpi di scena. «Sarà un incontro, certo non conclusivo, ma molto importante», aveva fatto sapere l’azienda prima del vertice, mostrando un atteggiamento diverso. «L’obiettivo è pervenire alla elaborazione di un nuovo piano industriale che contempli nuove soluzioni produttive con tecnologie ecologiche e che assicuri il massimo impegno nelle attività di risanamento ambientale», dicono dal governo.
Sul tavolo, l’esecutivo ha offerto un decreto ad hoc per il “cantiere Taranto” per convincere i Mittal a restare. Tra i punti principali del decreto: il ripristino dello scudo penale, una revisione del canone d’affitto e il coinvolgimento di società pubbliche, in cambio di garanzie occupazionali. L’obiettivo è giungere presto a un accordo. E «per consentire che questo processo possa partorire un piano ecologico con tecnologie pulite, dobbiamo assicurare un rinvio dell’udienza del procedimento cautelare d’urgenza del 27 novembre» davanti al Tribunale di Milano a seguito del ricorso dei commissari, spiega il premier. «Chiederermo breve dilazione dei termini processuali lasciando in pregiudicato qualsiasi diritto di difesa». Probabilmente si arriverà fino a Natale. Ma, precisa Conte, «siamo disponibili a concedere questo differimento, a condizione che Mittal assicuri il regolare funzionamento impianti e la continuità produttiva anche in questa fase negoziale».
Siamo disponibili a concedere questo differimento, a condizione che Mittal assicuri il regolare funzionamento impianti e la continuità produttiva anche in questa fase negoziale
Oltre al ripristino dell’immunità legale – anche se Conte, fermandosi qualche minuto in più davanti ai giornalisti, ha precisato che «non abbiamo discusso di scudo penale ma di come risolvere il problema industriale» – e a una soluzione per l’Altoforno 2, la cui importanza è stata ribadita dall’azienda, al centro della trattativa c’è stato soprattutto il piano degli esuberi. Necessari, secondo Mittal, non potendo raggiungere la produzione di 6 milioni di tonnellate con il mercato dell’acciaio a picco.
Un possibile punto di incontro, rispetto ai 5mila esuberi proposti da Mittal, sarebbe intorno alle 2mila-2.500 unità che potrebbero essere temporaneamente coperte con la cassa integrazione. L’esecutivo ha premuto perché il numero includa i quasi 1.400 lavoratori oggi già in cassa integrazione. Ma una parte dei lavoratori potrebbe anche essere impiegata nel progetto di rinnovo dell’Arsenale di Taranto. Conte ha precisato che «il governo si è dichiarato disponibile a sostenere questo processo anche con misure sociali, in accordo con i sindacati, fermo restando che andrà garantito il massimo livello di occupazione». Tradotto: nuova cassa integrazione. Quando proprio nello stesso giorno un report dell’Osservatorio statistico dei consulenti del lavoro ha lanciato l’allarme di come la vicenda Ilva potrebbe mettere a rischio l’equilibrio degli ammortizzatori sociali nel nostro Paese, con una spesa maggiore di oltre 200 milioni di euro.
Un possibile punto di incontro, rispetto ai 5mila esuberi proposti da Mittal, sarebbe intorno alle 2mila-2.500 unità che potrebbero essere temporaneamente coperte con la cassa integrazione
Sullo sfondo del nuovo piano industriale anche il possibile «coinvolgimento pubblico in ragione del ruolo importante di Ilva nell’economia italiana». Quello che si sa è che nei giorni scorsi il governo si è confrontato più volte con Cdp, che però potrebbe intervenire nel Titanic Ilva solo attraverso le sue partecipate, anche se le fondazioni bancarie hanno fatto già trapelare la propria contrarietà. I Mittal, dal canto loro, potrebbero mettere sul piatto oltre 2 miliardi tra il “cantiere Taranto” e le bonifiche. E pronte a intervenire sarebbero anche le banche.
Intanto, resta la spada di Damocle giudiziaria. A Taranto, nello stesso giorno del vertice i carabinieri del Noe hanno compiuto un’ispezione nello stabilimento siderurgico. Le indagini della procura tarantina puntano sulle ipotesi di reato di distruzione di mezzi di produzione e appropriazione indebita. A Milano, invece, gli inquirenti ipotizzano i reati di distrazione di beni dal fallimento e aggiotaggio informativo. Nelle 10 pagine firmate dalla procura meneghina in vista dell’udienza del 27, che contengono ampi stralci delle dichiarazioni di alcuni dirigenti di ArcelorMittal, si sostiene che il venir meno dello scudo sarebbe stato usato come pretesto per chiedere la cessazione delle attività. E la minaccia di una battaglia legale milionaria è forte, nel caso in cui i Mittal si dovessero sfilare. Le due procure, da Sud a Nord, si sono scambiate gli atti istruttori. Facendo sapere pure che c’è «pieno coordinamento».