«I leader politici hanno impiegato individui per plasmare in maniera surrettizia le opinioni online in 38 dei 65 paesi trattati in questa relazione, un nuovo record. In molti paesi, l’ascesa del populismo e dell’estremismo di destra ha coinciso con la crescita di gruppi online superpoliticizzati e composti sia da utenti veri sia da account falsi e automatizzati. Questi gruppi sono capaci di costruire intorno a interessi simili un vasto pubblico, collegano i loro messaggi politici a contenuti fake di natura provocatoria e ne coordinano la diffusione su più piattaforme.» Questo è il succo del report annuale sulla libertà della rete che Freedom House ha reso noto alcuni giorni orsono e di cui certamente avrete letto.
Oltre a facilitare la diffusione della propaganda e della disinformazione durante i periodi elettorali, le piattaforme di social media hanno permesso la raccolta e l’analisi di grandi quantità di dati su intere popolazioni. Una sorveglianza di massa sofisticata, un tempo possibile solo per le principali agenzie di intelligence del mondo, è ora accessibile a uno spettro molto più ampio di attori. Il rapporto ci conferma che i governi più repressivi stanno acquisendo strumenti di sorveglianza dei social media che impiegano l’intelligenza artificiale per identificare le minacce e mettere a tacere le manifestazioni non desiderate. Lo stesso tipo di monitoraggio di massa si sta diffondendo tra le agenzie governative anche delle democrazie, magari per differenti scopi ma senza adeguate garanzie. Il risultato è un forte aumento globale dell’abuso delle libertà civili e la riduzione dello spazio online per l’attivismo civico. In 47 dei 65 paesi valutati in questa relazione, sono stati registrati arresti di utenti per i loro discorsi politici, sociali o religiosi.
Mentre potenze autoritarie come la Cina e la Russia hanno svolto un ruolo enorme nell’attenuare le potenzialità della tecnologia di garantire maggiori diritti umani, le principali piattaforme di social media del mondo hanno sede negli Stati Uniti e il loro sfruttamento da parte di forze antidemocratiche è in gran parte frutto della negligenza americana. Vuoi a causa di una sorta di ingenuità generale sul ruolo di Internet nella promozione della democrazia vuoi per l’atteggiamento dei politici nei confronti della Silicon Valley, ora ci troviamo di fronte a una dura realtà: il futuro della libertà di Internet poggia sulla nostra capacità di risolvere il nodo dei social media. Non c’è più tempo da perdere, dice il rapporto. Le nuove tecnologie emergenti come la biometria avanzata, l’intelligenza artificiale e le reti mobili di quinta generazione, offriranno nuove opportunità per lo sviluppo umano, ma presenteranno senza dubbio anche una nuova serie di sfide per i diritti umani. Sono necessarie forti protezioni delle libertà democratiche per garantire che Internet non diventi un veicolo della tirannia e dell’oppressione. Il futuro della privacy, della libertà di espressione e della governance democratica si basa sulle decisioni che prendiamo oggi.
È questo il terreno su cui si gioca il nostro ultimo campionato: ribadire la centralità dell’uomo
Lo stesso atteggiamento fortemente critico nei confronti dei social media, maturato però da diverso tempo e su cui si è espresso approfonditamente nelle pagine di libri che hanno riscosso un successo internazionale, lo ha Jaron Lanier, tornato a essere intervistato in Italia in occasione del cinquantesimo compleanno del web, celebrato il 29 ottobre scorso. Purtroppo, il suo pensiero è stato assimilato all’idea semplicistica che questo capitalismo digitale basato sulla manipolazione delle coscienze delle persone attraverso l’utilizzo dei dati che esse stesse forniscono spontaneamente per stare in rete, è stato fondato anche grazie a lui e si è rafforzato anche in virtù del fatto che il suo ravvedimento non è stato manifestato a gran voce. Vero, ma altrettanto vero che il pensiero di Lanier è molto più complesso e interessante rispetto a questa sintesi e a non ascoltarlo rischiamo di perdere un’altra occasione per capire e cambiare l’attuale modello di business di internet che come sappiamo utilizza gli algoritmi capaci di misurare il cambiamento dei comportamenti e fare in modo che le persone clicchino e condividano di più, cosa che accade quando sono arrabbiate o spaventate. Le due emozioni necessarie a far funzionare questo modello di business sono le stesse che provocano in tutto il mondo i cambiamenti politici e l’ascesa dei partiti di estrema destra, anche in Paesi totalmente diversi, in cui gli unici fattori comuni sono Google e Facebook, come per esempio il Brasile, dove governano, e la Svezia, dove registrano crescita a doppia cifra.
Lanier, che a differenza di altri non è un luddista e non è antitecnologico, non vuole chiudere internet per intenderci, profetizzando il ritorno a una cara e vecchia vita analogica, al contrario vuole che la tecnologia esprima il suo vero potenziale che ovviamente non è quello di stritolare l’uomo ma evolverlo. E lo dimostra nel suo ultimo libro intitolato L’alba del nuovo tutto, amorevolmente dedicato alla realtà virtuale intesa come spazio in cui possiamo mettere a frutto la nostra creatività e al tempo stesso sviluppare nuovamente la nostra capacità di amare le nostre esistenze reali. Non un luogo di fuga per ottenebrare le nostre menti ma un laboratorio dove sviluppare le nostre capacità e comunicare e interagire con gli altri.
È questo il terreno su cui si gioca il nostro ultimo campionato: ribadire la centralità dell’uomo. Per farlo occorrerà creare attorno alla tecnologia e nelle professioni che in questo ambito agiscono e decidono, una nuova cultura che passi necessariamente per un ritrovato umanesimo, e contemporaneamente avviare un processo di alfabetizzazione tecnologica a tutti i livelli della cittadinanza.