Storia d’ItaliaAscesa e declino di Mediobanca, dopo l’uscita di Unicredit

UniCredit ha deciso di vendere le azioni che aveva in portafoglio sin dalla notte dei tempi, ma la vera notizia non è questa. Per capire quali elementi hanno portato all’attuale situazione di Piazzetta Cuccia occorre tornare indietro di quasi un secolo

UniCredit ha deciso di vendere le azioni di Mediobanca, che ha in portafoglio fin dalla notte dei tempi. Il controvalore è inferiore ma non troppo al miliardo di euro. UniCredit continua così a vendere le proprie partecipazioni insieme a un corposo aumento del capitale varato un paio di anni fa. La notizia “vera” non è però questa, ma un’altra.

Si torni indietro nel tempo. Venti e passa anni fa non sarebbe stato nemmeno concepibile che una delle tre Banche di Interesse Nazionale – Credito Italiano, Banca di Roma, Banca Commerciale – potesse vendere la quota di azioni che deteneva in Mediobanca. La quale ultima non era azionista delle tre banche, che, al contrario, erano le sue azioniste, ma queste, le controllanti, non avrebbero osato muoversi in maniera indipendente. Come mai le cose andavano in questo modo?

Torniamo agli anni Trenta (nientemeno). Le banche dette “miste” – gli istituti che oltre al credito ordinario, erogavano anche quello a più lungo termine, ed, infine, avevano partecipazioni azionarie nelle imprese che erano loro clienti – ebbero un gran ruolo nel forzare l’industrializzazione dell’Europa Continentale nel XIX e gli inizi del XX secolo. Gli investimenti reali erano forzati ben oltre il livello che sarebbe stato possibile con il solo autofinanziamento e con i conferimenti di capitale dei soci.

Se una banca eroga ad un’impresa un credito a lungo termine che finanzia raccogliendo depositi a breve termine, ossia se ha dei crediti a scadenza lunga a fronte di impegni che sono richiamabili all’istante (i depositi a vista), può accadere che si trovi mal messa se i crediti a lunga scadenza non sono “di qualità”. Se i crediti non sono di qualità, e la banca è pure azionista del debitore, può accadere che essa sia tentata dall’intervenire sottoscrivendo degli aumenti del capitale. Ma se la banca non ha non ha una copertura patrimoniale sufficiente di suo, si espone ancora di più. Dopo la Grande Guerra e durante la Grande Depressione questi problemi esplosero. Le imprese industriali andavano male e le banche erano esposte troppo. Fu così che in Italia le banche miste furono salvate.

Nel 1946 è il turno di Mediobanca, la quale è, a ben guardare, la frantumazione virtuosa della banca mista

Nel 1933 nacque l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI) che comprò sia le banche sia le imprese di cui le banche erano azioniste. L’idea era che, dopo il salvataggio, tutto sarebbe ritornato nel settore privato. L’idea iniziale era perciò quella di uno statalismo pro tempore. Invece, arriva la Seconda Guerra, la privatizzazione è rimandata sine die, con l’economia che è di nuovo messa malissimo.

Nel 1946 è il turno di Mediobanca, la quale è, a ben guardare, la frantumazione virtuosa della banca mista. Intanto, i crediti a scadenza lunga non sono più finanziati con depositi a vista, ma con i depositi a risparmio, oppure con obbligazioni, quindi si ha un credito a fronte di un debito di durata equivalente. Poi si possono collocare le azioni e le obbligazioni delle imprese clienti, per rafforzarle finanziariamente. Infine, si possono avere degli investimenti diretti in azioni, ma rigorosamente contenuti in rapporto al capitale di rischio.

Facendo così, non si hanno i difetti della banca mista, ma si hanno i vantaggi: gli investimenti reali possono essere forzati oltre l’autofinanziamento delle imprese ed i conferimenti dei soci. Quando si diceva con espressione pop che in Italia c’erano “i capitalisti senza capitali”, si intendeva questo.

Mediobanca nasce avendo come soci le Banche di Interesse Nazionale finite nell’IRI, le quali, oltre al capitale di rischio, mettono a disposizione di Mediobanca la loro rete di agenzie per la raccolta dei libretti a risparmio e delle obbligazioni. Mediobanca nasce perciò snella, perché non ha bisogno di una rete commerciale per la propria raccolta. E resta snella anche in sede del collocamento delle azioni e delle obbligazioni delle imprese, perché queste sono assorbite di nuovo dalle agenzie delle banche.

La frantumazione virtuosa della banca mista – ossia Mediobanca – ha avuto come protagonisti dei servitori dello stato che difendevano il perimetro dell’iniziativa privata

Dopo qualche anno Mediobanca diventa la protagonista della finanza italiana, si noti una finanza volta al finanziamento degli investimenti delle imprese. Con il tempo, cresce anche l’impegno come azionista. Siamo così giunti ai “noccioli duri”. Agli azionisti di riferimento, quando necessario, si alleava Mediobanca con quote proprie, allo scopo di dare stabilità e continuità. Nel caso delle Generali, la storia era diversa. La sua potenza di fuoco (la dimensione del suo attivo) rispetto alle imprese italiane era tale che, in caso di bisogno, essa potevano prendere la partecipazione necessaria. Non era necessario che la prendesse, bastava la minaccia. Le Generali erano come la “Grande Berta”, era lì enorme e minacciosa anche se non sparava, da qui la sua importanza. Questo sistema è andato avanti fino agli anni Novanta. Ha tenuto in piedi quel che poteva, se si tiene conto della crisi che si manifesta in Italia a partire dagli anni Settanta.

Il sistema che ha dato vita a Mediobanca è stato diretto soprattutto da intellettuali del Meridione: Beneduce, Menichella, Mattioli, Tino, Maccanico, Cuccia. Costoro erano emersi durante Fascismo, ma non erano fascisti, e il loro lascito è durato fino a non troppo tempo fa. La frantumazione virtuosa della banca mista – ossia Mediobanca – ha avuto come protagonisti dei servitori dello stato che difendevano il perimetro dell’iniziativa privata.

Il sistema Mediobanca poco a poco si ridimensiona. Ciò avviene a partire dagli anni Novanta, quando le banche di credito ordinario possono tornare ad agire come banche miste. A quel punto – quando azioniste – si trovano in conflitto con Mediobanca in sede di collocamento dei titoli azionari e obbligazionari di società terze. Inoltre, il sistema dei noccioli duri si è rivelato costoso, perché impegna del capitale per ragioni di sistema, ma il capitale impegnato può essere poco redditizio. Cade il quasi monopolio in sede di collocamento, così come cade il sistema dei noccioli duri per tenere coeso il sistema.

E siamo tornati all’oggi.

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