Convegno non fa rima con governo e non è la certo la prima volta che il piano della discussione teorica non combaci con quello dell’arida politica. E così la “Bolognina del Pd” va interpretata su due livelli distinti. Detta in parole povere: lo spostamento sinistra dell’asse culturale e del profilo ideale non comporta affatto un corrispondente spostamento politico a sinistra, dunque non mette a repentaglio l’intesa di governo.
Sì, perché si scopre che Bologna non fa fibrillare il quadro politico, almeno a breve, visto che a pensarci bene la mossa di Zingaretti sullo ius culturae va interpretata come uno scatto identitario – non diciamo propagandistico – per dimostrare davanti a una platea un po’ oldstyle che il Pd non ha intenzione di calarsi le braghe davanti a Di Maio ma riproponendo questioni restate fuori dall’agenda di governo che ha qualche carta in mano. È bastato infatti che Di Maio si dicesse «sconcertato» per far gettare a una Debora Serracchiani ritornata ai posti di prima fila del partito diversi litri di acqua fredda sull’intemerata del segretario. Niente paura, non sarà su questo che si romperà.
L’importante ė guadare il fiume e riuscire a passare indenni dall’altra parte della legge di bilancio, che pare già il fiume buio e pericoloso di Apocalipse now, disseminato com’è di centinaia di emendamenti
E allora perché Zingaretti ha detto quello che ha detto? Un po’ lo abbiamo accennato, per il clima contagioso “de sinistra”; un po’ per mettere a verbale richieste che un domani potranno tornare d’attualità; e molto per “parare” l’offensiva della minoranza orfiniana inopinatamente ritrovatasi su posizioni più estreme dopo anni di collaborazione col renzismo imperante. Nulla di meno ma anche nulla di più.
L’importante ė guadare il fiume e riuscire a passare indenni dall’altra parte della legge di bilancio, che pare già il fiume buio e pericoloso di Apocalipse now, disseminato com’è di centinaia di emendamenti (della destra, dei renziani – attenti a Italia Viva! – dello stesso Pd). E magari schivando dolorose conseguenze su problemini quali l’Ilva o Venezia, e soprattutto salvare anima e futuro grazie alla missione diventata molto possibile di Stefano Bonaccini. Il quale fra parentesi gradirebbe molto un clima nella maggioranza “romana” il più tranquillo possibile: ecco perché non ha gradito la sortita zingarettiana sullo ius soli, così come più in generale non avesse esultato per aver dovuto dare l’ospitalità bolognese al mega-convegno del Pd, possibile focolaio di polemiche.
Ma in definitiva non c’è nessuna intenzione da parte del Pd di mettere in discussione il quadro politico e di governo. Se il lavoro sporco poi lo volessero fare Di Maio o Renzi, sarebbe un problema loro. Zingaretti invece preferisce surfare sulle onde, molto fiducioso della vittoria in Emilia-Romagna (avrà acceso ceri solenni alla Sardine) e persuaso, con Franceschini, che la strada dopo sarà meno impervia. Sempre che Conte si svegli e governi sul serio.
Se questa è la ciccia politica, si comprende come le suggestioni antiblairiane del convegno bolognese siano, appunto, suggestioni
Se questa è la ciccia politica, si comprende come le suggestioni antiblairiane del convegno bolognese siano, appunto, suggestioni: nel senso buono del termine, intendiamoci. Far dialogare il «riformismo di governo» di Gentiloni, Delrio, Guerini – per fare tre nomi – con le istanze critiche verso le crescenti involuzioni, nel senso dell’allargamento delle disuguaglianze, del capitalismo italiano è già un buon risultato: e questo era già nella scelta di Gianni Cuperlo di dare uno spazio centrale a Fabrizio Barca, ai sindacati, a personalità “bergogliane” come padre Occhetta o per altri versi Mauro Magatti. Si potrà dire che la famosa “sintesi” Nicola Zingaretti non sia riuscito a tirarla fuori, probabilmente era un compito improbo. E che pertanto il profilo del Pd resti incerto, sospeso fra la stagione dorata delle Terza via e la ricerca di una moderna critica dell’esistente, nel fuoco di una crisi mondiale di sistema che scompagina le vecchie certezze.
Ridisegnare una cultura all’altezza della situazione è difficilissimo di per sé, e mentre si governa è ancora più proibitivo. L’incompiutezza del Pd è tutta qui. C’è insomma come un Pd teorico e un altro reale, un pirandellismo che tutto tiene insieme ma che da un momento all’altro può sfociare in follia, cioè in fallimento politico, se “i due Pd” dovessero un giorno entrare in una contraddizione insanabile, come nell’89 avvenne al socialismo. La destra sta lì, non aspetta altro.