Il governo-molto-più-giallo-che-rosso

Milano e Ilva, ecco perché il caso Provenzano è il caso Italia

Le disparità tra la metropoli e il resto del paese sono un problema, cosa che nessuno ha mai negato, il punto è se per ridurle si preferisce un modello che funziona oppure la decrescita per tutti

Miguel MEDINA / AFP

«Milano non restituisce nulla al paese» e «sconsiglio a Mittal di fare la guerra allo Stato». Magari è un format cinematografico, genere Godzilla contro King Kong, ma in un solo giorno siamo passati da “Peppe Provenzano contro Milano” a “Peppe Provenzano contro le acciaierie”. Su Milano abbiamo scritto a caldo l’altroieri, oggi segnaliamo il bizzarro intervento via Facebook della professoressa Nadia Urbinati della Columbia University di New York, secondo la quale Linkiesta non è «un giornale intelligente e onesto» perché difendendo Milano da una stupidaggine detta dal Ministro per il Sud, il quale sa benissimo di averla detta, in realtà lavora surrettiziamente per realizzare il progetto della Lega di Bossi. Non ridete. L’ha scritto. Tutto vero.

Ora, a parte che Milano è l’unico posto del Nord dove la Lega non conta nulla e dove i Cinque stelle non esistono, autentica Medaglia d’oro per la Resistenza 2.0, alla controintuitiva professoressa va segnalato che è anche la città più solidale d’Italia e non solo per il gettito fiscale, e che è tutto questo esattamente perché attrae gente dal sud, dal nord e da tutto il mondo, compresa la visiting professor della Bocconi Nadia Urbinati.

Più articolate, invece, altre difese di Peppe Provenzano, centrate sul concetto che la crescente disparità economica, politica e civile tra una Milano che attrae risorse e il resto del paese che le perde costituisca un problema serio per la società. Si tratta, però, di un classico straw man argument, un’argomentazione fallace, visto che nessuno ha mai negato né la disparità né il problema.

È esattamente questa passione sconsiderata per la decrescita per tutti, sia per il nord sia per il sud, felice e babbea nel caso dei Cinquestelle e pensierosa e accademica nel caso di Provenzano, a spiegare – e anche a giustificare – perché il nord produttivo, fatto di imprenditori e di operai e popolato da polentoni e da terroni, preferisca il baraccone fascio-leghista alla parodia di una proposta politica alternativa

Ecco perché la questione Provenzano è importante: non tanto per l’enormità su Milano che non restituisce nulla, ma perché svela il preoccupante riflesso condizionato di un ministro impegnato per delega a porsi la domanda se questa disparità si possa ridurre facendo crescere quella parte del paese che è ferma oppure facendo rallentare l’unica parte che cresce. Le parole di Provenzano e la frittata dell’Ilva, su cui ora il ministro chiede che venga rispettato un contratto che l’esecutivo di cui fa parte non ha rispettato, lasciano intendere che la strada scelta dal governo-molto-più-giallo-che-rosso sia quella di abbracciare l’antimilanesità piuttosto che imitare Milano, di invocare il reddito di cittadinanza invece che l’etica del lavoro, di affidarsi al piagnisteo anziché alla produttività.

Questa passione sconsiderata per la decrescita universale, per tutti, sia per il nord sia per il sud, nella versione felice e babbea dei Cinquestelle e in quella pensosa e accademica di Provenzano, probabilmente è ciò che spiega – e anche giustifica – perché il nord produttivo, fatto di imprenditori e di operai e popolato da polentoni e da terroni, preferisca il baraccone fascio-leghista alla prospettiva declinista e alla parodia di una proposta politica alternativa come quella rappresentata dal governo giallo e rosso. Bisognerebbe spiegarlo anche alla professoressa della Columbia, lassù nell’Upper West Side di Manhattan, subito dopo averle chiesto che cosa hanno restituito New York e la Columbia University alla sua natìa Rimini.