Da qualche tempo si sta diffondendo – anche nel mondo anglosassone con le proposte del laburista Corbyn e della democratica Warren – l’idea che vadano posti dei limiti sui redditi particolarmente elevati, sui patrimoni cospicui, e sulle eredità smisurate. Sull’argomento si hanno due scuole di pensiero maggiori, e una terza, minore.
La prima sostiene che l’eccesso di diseguaglianza potrebbe portare ad una crisi di sistema. Perciò una maggiore tassazione renderebbe il sistema meno fragile. La seconda sostiene che le grandi fortune sono il frutto del talento imprenditoriale. Perciò una tassazione punitiva inibirebbe la volontà di innovare e quindi, alla fine, danneggerebbe il benessere collettivo. Mette conto notare che i multi miliardari statunitensi si dividono fra queste due scuole di pensiero.
La terza scuola di pensiero è la meno intuitiva ed è poco diffusa. Ha seguaci soprattutto fra gli economisti. Essa sostiene che questi redditi e queste ricchezze smisurate si possono generare solamente se il sistema è poco competitivo. In presenza di concorrenza, infatti, non si avrebbero dei redditi pari a centinaia di volte quello di un proprio dipendente, così come i grandi ricchi non avrebbero potuto accumulare delle ricchezze pari a quelle della metà della popolazione. In concorrenza l’impresa che ha guadagnato innovando viene imitata da altre imprese, che entrando a loro volta nel mercato, ne comprimono i profitti iniziali. Da questa diagnosi si arguisce che il nodo della diseguaglianza eccessiva non si risolve punendo solo con le maggiori imposte gli iper ricchi e lasciando il mondo della produzione nel suo stato di semi monopolio, bensì spingendo il sistema verso una maggiore concorrenza.
La terza, infatti, chiede una maggiore imposizione fiscale, ma soprattutto una vera promozione della concorrenza che andrebbe a colpire anche i settori dove si sono formate ultimamente le grandi ricchezze
La prima scuola di pensiero ricorda il rischio di una esplosione del “risentimento” di chi non partecipa al banchetto, la seconda ricorda che si corre il rischio di frenare la dinamicità del sistema, la terza cerca una soluzione che richiede un non modesto impegno politico. La terza, infatti, chiede una maggiore imposizione fiscale, ma soprattutto una vera promozione della concorrenza che andrebbe a colpire anche i settori dove si sono formate ultimamente le grandi ricchezze. Una buona parte di queste ricchezze si sono formate negli ultimi decenni, come nel caso delle grandi imprese tecnologiche e della finanza, ma che potrebbero, se cambia nulla, durare per molto tempo.
Per chiarire il senso della proposta della terza scuola di pensiero, si immagini un’analogia. Si ha un Parlamento che legifera poco male e costa molto in ristoranti e abitazioni dei suoi membri. I quali ultimi hanno un tenore di vita che possiamo definire immeritato e quindi si ha chi pensa di tassarli molto per togliere loro questo privilegio. Peccato che non si possa, perché la tassazione è una sovranità parlamentare. Immaginiamo invece, che si possa scegliere – il che non è possibile, perché il potere dello Stato è un monopolio – e quindi votare un secondo Parlamento dove si legifera molto e bene e i cui i membri mangiano nelle peggio trattorie e dormono in pensioni a due stelle. Il secondo Parlamento verrebbe tosto votato. Facendo bene con un costo modesto sarebbe apprezzato dalla cittadinanza e quindi, se si auto votasse per avere dei maggiori emolumenti, nessuno avrebbe da ridire.