Quante storieLe banalità di Augias confondono la cultura di destra con l’incultura di Salvini

Il leader leghista è un ragazzo confuso: nordista, indipendentista e comunista, poi nazionalista e anti euro. Si muove per assecondare la Bestia, non su ispirazione di Carl Schmitt

Mentre la sinistra cerca l’anima del governo che ha fatto con i Cinque Stelle, la destra si è messa è in viaggio su un altrettanto inafferrabile sentiero della discussione politica italiana, quello della cultura: chi ce l’ha più lunga, la destra o la sinistra? Il falò è stato appiccato da un signore a modo e per bene come Corrado Augias, che, nello studio di Di Martedì, davanti a un incolpevole Pierluigi Bersani, ha fatto, con i suoi modi certo eleganti, e le sue parole certo ben levigate, una distinzione di quelle che farebbero invidia ai professionisti della semplificazione. «Essere di destra è facile – ha detto – perché vuol dire andare incontro a quelle che sono le spinte istintive che tutti hanno», mentre «essere di sinistra è più difficile, perché quelli di sinistra giocano su un terreno in cui la conoscenza degli argomenti è fondamentale».

Ieri mattina, colpito dall’accoglienza che le sue parole hanno ricevuto presso i giornali della destra, che hanno addirittura invocato contro di lui l’intervento immediato dell’odiatissima Commissione Segre, Augias è andato a spiegare meglio cosa intendeva dire ad Agorà. Si è seduto davanti alla conduttrice, Serena Bortone, e, sempre con quel suo timbro raffinato, le sue frasi architettonicamente ben costruite, ha peggiorato le cose: «Ho detto una cosa vera», ha esordito, lamentando che le sue parole siano state ridotte a una caricatura della sua idea. E dunque ha spiegato che: «Il pensiero di destra è più vicino alle spinte istintive delle masse di quanto non lo sia il pensiero di sinistra, che invece è più elaborato, tanto è vero che sul pensiero di sinistra esistono intere biblioteche, mentre il pensiero di destra è più semplice”». Poi, l’esempio tratto dalla vita reale: «Guardi la campagna di Salvini».

Dalla cultura di destra sono stati scritti – a occhio – un numero di libri pari, se non superiore, a quelli che sono stati scritti dalla sinistra, sulla sinistra, intorno alla sinistra. E Corrado Augias è il primo a saperlo

A questo punto, la cosa migliore che si possa fare per evitare di farsi travolgere dalla vendetta vittimistica di chi si è sentito ferito dalla definizione, è spegnere la televisione e cominciare a separare le cose che Corrado Augias, certo con il suo stile carismatico, il suo periodare illuministico, ha unito. Cioè Salvini, e la cultura della destra. Sono due cose completamente diverse.

Dalla cultura di destra sono stati scritti – a occhio – un numero di libri pari, se non superiore, a quelli che sono stati scritti dalla sinistra, sulla sinistra, intorno alla sinistra. E Corrado Augias è il primo a saperlo. Su Salvini, invece, fa fede ciò che ha scritto egli stesso nella sua autobiografia, Secondo Matteo: «Destra e sinistra sono delle categorie che continuo a ritenere fuorvianti, comunque non attuali». E ancora: «Vedo più valori di sinistra nella destra europea che in una certa sinistra che si spaccia per tale».

Salvini è stato nordista, indipendentista, comunista padano, fortemente federalista. Poi, nazionalista, anti euro, anti tedesco. Ora, si è convertito a un più soffice euroscetticismo. Più che figlia di una solida cultura di destra, la sua formazione assomiglia a una forma speciale di multiculturalismo. Ovviamente, liquida. E altamente adattabile.

Salvini è stato nordista, indipendentista, comunista padano, fortemente federalista. Poi, nazionalista, anti euro, anti tedesco. Ora, si è convertito a un più soffice euroscetticismo. Più che figlia di una solida cultura di destra, la sua formazione assomiglia a una forma speciale di multiculturalismo

Il Signor Augias, certo con tutta la sua saggezza ottocentesca, inscrive Salvini nella geografia politica del secolo scorso, negli anni in cui ogni discorso politico seguiva la mappa di una nobile tradizione, si trattasse – per rimanere a destra – di quella liberale, oppure conservatrice, o reazionaria, persino fascista, con tutto il suo corredo cartaceo di riferimenti bibliografici e autori di culto. Solo che Matteo Salvini – ed è qui la differenza – prima di scrivere un post su Facebook non si confronta certo con i testi di Von Hayek, né con quelli di Carl Schmitt, piuttosto chiama Luca Morisi e gli chiede di cosa si sta parlando in quel momento in rete. Come se ne parla. Cioè, se sono di più quelli che dicono x, oppure quelli che dicono y. E, poi, interviene, dando ragione sempre a quelli che sono in maggioranza, sia che dicano x, sia che dicano y.

Funziona così la Bestia, la sua macchina della propaganda. Salvini ha sì slogan, parole d’ordine, battaglie, simboli, ritornelli, discorsi ricorrenti, convinzioni, nemici, anzi ha tanti nemici: ma essi non sono organizzati dentro una struttura intellettuale rotonda. Per Salvini, è fondamentale il consenso, non il senso. Non è tipo da temere il principio di non contraddizione. Per esempio, ha un chiodo fisso: l’immigrazione. Anzi, due: la contestazione dell’Unione Europea. Eppure, quando era ministro dell’Interno, chiudeva i porti mostrando il suo pugno duro sovranista. Salvo, però, proclamare che il problema dei migranti spettava risolverlo all’Europa, nella maniera più condivisa possibile, come il più europeista degli eredi di Altiero Spinelli. Una volta, sarebbe stato considerato un ragazzo confuso. Oggi passa per quello che ha le idee più chiare di tutti. Ma questo che c’entra con la cultura della destra, egregio Dottor Augias?

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