Marketing del desertoI sauditi quotano Aramco, sarà la più grande operazione di borsa e di immagine di tutti i tempi

Il gigante petrolifero della famiglia Saud è lo strumento per realizzare “Vision 2030” , il progetto di diversificazione delle risorse finanziare del Regno che non sarà fermato nemmeno dalla (vera o solo auspicata) tendenza “green” del mondo

Siamo finalmente arrivati dopo due anni alla quotazione – un 5 per cento delle azioni e per ora alla borsa saudita, ma poi anche all’estero – di Aramco, il gigante mondiale saudita del petrolio. È il fatto economico del giorno non solo perché sarà la prima impresa quotata al mondo, ma anche per le sue ramificazioni politiche.

La Saudi Aramco – alla scoperta dei giacimenti nella Penisola nel 1938, si chiamava ARAbian aMerican oil COmpany – come fatturato è di gran lunga la maggiore impresa petrolifera del mondo. Solo Gazprom, che produce gas, le si avvicina come fatturato, ma il gigante russo ha una redditività di molto inferiore. Oltre alla dimensione Aramco è anche l’impresa petrolifera che ha i costi di estrazione più bassi – circa 3 dollari al barile pari a un terzo del costo medio dei maggiori concorrenti. Oltre alla dimensione e ai costi ineguagliabili, Aramco è anche quella che inquina meno per estrarre petrolio. Le sue riserve accertate sono, infine, il triplo di quelle – se sommate – dei maggiori concorrenti.

In breve, Aramco è “mostruosa” o, se si preferisce, è mostruosa la quantità e qualità di petrolio stipato fin dalla notte dei tempi nella penisola arabica. Come è facile immaginare, Aramco diventerà la maggiore impresa quotata al mondo al posto di Apple. Fin qui l’apologetica. Osserviamo ora criticamente le cose.

1) A chi appartiene Aramco; 2) Qual è lo scopo della sua quotazione; 3) In un mondo sempre più ecologico che ci fa Aramco?

Aramco è “mostruosa”, o, se si preferisce, è mostruosa la quantità e qualità di petrolio stipato fin dalla notte dei tempi nella Penisola Arabica. Come è facile immaginare, Aramco diventerà la maggiore impresa quotata al mondo al posto di Apple

1) In Arabia la successione al trono non è regolata, né la successione politica si forma a partire dalla divisione dei poteri in un sistema a suffragio universale entro uno Stato etnicamente omogeneo. Il potere è suddiviso per tribù, e si ha quella che eredita l’esercito, l’altra la sicurezza, e così via. L’alterare i rapporti di potere all’interno della macchina dello Stato diventa perciò l’alterare i poteri delle tribù costituenti la compagine comune. Segue che Aramco appartiene e apparterrà allo Stato nella declinazione di “congerie tribale”. Non si vede, infatti, come la “presa” tribale possa trasmutarsi nel primato della società civile se le azioni di Aramco portate in borsa non saranno una quota di controllo.

Oltre tre quarti delle entrate statali saudite hanno oggi origine nella rendita petrolifera, e quattro quinti delle esportazioni hanno di nuovo una origine petrolifera. L’Arabia è definitivamente un Petro-Stato e l’immensa ricchezza di Aramco potrebbe aiutare il finanziamento della sua modernizzazione, ossia la fuoriuscita dalla dipendenza dalle materie prime energetiche.

Qui sorge un dubbio. Aramco può essere quotata e così portare ricchezza alle casse statali, ma se non viene quotata, la porta lo stesso perché i suoi dividendi finirebbero, invece che ai privati, al Tesoro saudita. Aramco va piuttosto bene e quindi non è privatizzata perché “va male”, come si era detto – fra lo stupore di tutti – di un’impresa da privatizzare del Bel Paese.

Vero il ragionamento esposto, ossia che si mantiene il potere tribale e la ricchezza per il Tesoro saudita resta la stessa, allora la quotazione di Aramco è in essenza un’operazione di immagine, volta a promuovere il progetto di modernizzazione dell’Arabia Saudita.

2) L’iper-dipendenza saudita dal petrolio impone di diversificare, e così i progetti di Riad prevedono la privatizzazione delle poste, della sanità, delle ferrovie, dei porti. Un altro progetto è nel turismo “per tutti”, ossia non legato al pellegrinaggio verso i luoghi sacri dell’Islam. Le privatizzazioni e il turismo “profano” è probabile che finiscano per essere affidati alla gestione di clan tribali. Il piano varato nel 2017 prevede investimenti anche nello studio dell’inglese e della matematica, con l’idea di creare una classe dirigente competitiva a livello internazionale.

Tutto ciò alla lunga implica l’allentamento del controllo su una società dove i proventi petroliferi finora hanno sostituito le imposte, laddove il benessere dei sudditi dipende dalla benevolenza distributiva dei principi. La vera modernizzazione passa però dalla trasformazione dei sudditi in cittadini, ma per avere la Silicon Valley bisogna prima aver avuto la ribelle Berkeley.

3) In un mondo sempre più ecologico la domanda di petrolio dovrebbe ridursi, perché si farà un uso più efficiente delle risorse e perché si useranno le energie alternative. Questo dovrebbe avvenire in un arco temporale lungo, perché è difficile immaginare gli aerei e le navi trainate dalle batterie. Se la minor domanda dovuta all’ecologia si confronta con una offerta che resta ricca, i prezzi del petrolio dovrebbero stagnare se non scendere. Aramco, che è l’impresa mondiale con i costi di estrazione più bassi, dovrebbe quindi sopravvivere senza problemi.

Se si andasse incontro a una accelerazione del progetto ecologico – come si arguisce dal programma della candidata democratica per la Presidenza Elizabeth Warren, potrebbero venire proibite le nuove attività di estrazione. Per effetto della lentezza della sostituzione delle tecnologie ad alta intensità energetica con quelle a bassa intensità, l’offerta di energia diventerebbe inferiore alla domanda. In questo secondo caso, i prezzi del petrolio sarebbero maggiori, di nuovo favorendo Aramco, che avrebbe dei ricavi maggiori con i costi di estrazione più bassi.

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