“Il posto delle fragole” è il film di Bergman in cui Bergman racconta cosa succede a un uomo quando si accorge che sta per morire. È un film dolcissimo, domestico e mite. Ogni tanto, solo in alcuni punti, anche spaventoso e franco. Forse è il miglior film dei film sull’eredità, sul commiato e sugli addii.
Bibi Andersson, una delle protagoniste, l’attrice che è stata una delle firme di Bergman, è morta ad aprile di quest’anno.
Il 2019 è stato un continuo accorgersi di lutti, separazioni, addii, divisioni, scissioni che stavano per succedere e che poi sono davvero successe, un posto delle fragole continuo con drammatico sequel, solo che non lo ha girato Ingmar Bergman, ma una specie di collettivo di registi anonimi sottopagati, una filiera di cinepanettonisti che di porta in porta e di scissione in scissione ha reso evidente che non possiamo, non sappiamo, non vogliamo stare insieme. Agli altri, ai mariti, alle mogli, agli amici, ai colleghi, ai parenti, ai figli, ai compagni di partito e di band e di squadra. Per l’Oxford Dictionary la parola dell’anno è “Emergenza climatica”, per certe millennial attempate che fanno la raccolta differenziata come i boomer farebbero la trap, invece, la parola del 2019 avrebbe dovuto essere “Vattene amore”, che poi è una canzone straziante ma di certo più costruttiva della maggior parte delle canzoni d’amore che ci sono state rifilate quest’anno e che parlavano tutte di storie che finivano, abbracci spezzati, miracoli da accettare al semaforo e vite che ricominciano da mazzi di fiori imputriditi. Persino Tiziano Ferro, che è così felicemente sposato da essere ingrassato, s’è adeguato allo sfacelo dell’amore e ci ha rifilato un cantico per morti ammazzati dalle relazioni sentimentali.
Si sono lasciati tutti, ci siamo lasciati, o dimessi, o trasferiti, o licenziati tutti per insostenibilità, quasi nessuno per disamore. Si sono scissi i The Giornalisti e Tommaso Paradiso ne ha fatto una tragedia privata su Instagram e subito dopo una canzone che Matteo Renzi ha usato per musicare gli happening di Italia Viva, il partito che ha fondato scindendosi dal PD, nelle stesse ore in cui Paradiso usciva dalla sua band. Ha abdicato l’imperatore giapponese Akihito, e non era mi successo in 202 anni. Theresa May ha rassegnato le sue dimissioni in diretta tv, dopo il fallimento su Brexit, piangendo fortissimo mentre si diceva grata per «aver avuto l’opportunità di servire il paese che amo».
È cascato il governo gialloverde e la “Marriage story” di leghisti e grillini è finita peggio di quella di Scarlett Johansson e Adam Driver nel film omonimo di cui abbiamo parlato per tutto novembre e un po’ di dicembre, e sulle ceneri fresche di questo divorzio breve e un po’ millennial, s’è celebrato un ancora più improbabile matrimonio tra grillini e quel che resta del giorno sinistro, ovvero il Pd – peggio che andar di notte, o di Amleto. Un’unione così virtuosa che, per dirne due recenti, dal primo gennaio questo paese sarà sprovvisto di prescrizione, proprio come l’Honduras ai tempi dei Maya, e il 25 novembre il ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti, s’è dimesso come aveva promesso di fare un mese fa, nel caso in cui il governo non avesse destinato 3 milardi di euro al suo ministero come effettivamente non è stato (il Fatto Quotidiano, che conosce bene le fregole peggiori, ha titolato: «Chapeau, ora dimettiamoci tutti» – ma tutti chi, scusi, e i disoccupati, e i cassaintegrati, e i gatti neri, e i perbenisti?).
Alleggeriti dall’onere dell’amore, i ragazzi di tutto il mondo quest’anno sono scesi moltissimo in piazza, hanno seguito una sedicenne molto seria e giudiziosa, con il volto severo dell’estremista e gli occhi impassibili della nordeuropea: Greta Thunberg, che s’è arrabbiata con gli adulti, specie politici, incolpandoli di averle rubato il futuro. Ogni venerdì, la maggior parte dei vostri figli minorenni si dipinge la faccia di verde e sciopera per il pianeta terra e la sua paladina Greta. Anche gli italiani, nel loro piccolo, si sono incazzati e sono scesi in piazza travestiti da sardine, cantando “Com’è profondo il mare” e “Bella Ciao” e “Fratelli d’Italia” e dicendosi apolitici ma forse no, post ideologici ma forse no, pacifici ma forse no, antirazzisti senza se e senza ma però aperti ad accogliere CasaPound alle loro manifestazioni purché senza bandiera. Meriti, uno, piuttosto importante: aver dimostrato che non a tutti gli italiani sta bene parlare con odio di odio, propalare cattiva informazione per fomentare lo scontro e polarizzare l’opinione pubblica, che molti italiani si vergognano per le boiate che scrive e fa e pensa Matteo Salvini, che molti italiani apprezzano la buona educazione, i libri, l’attivismo, e non avallano la politica dei porti chiusi, e vogliono accogliere, e anche se non sopportano le fidanzate, sono ben disposti verso il prossimo e magari non vogliono condividere il proprio letto ma il tetto sì. Demeriti: tutti gli altri. L’inconsistenza (inesistenza?) della loro proposta; il non volersi definire; il rifuggire da una connotazione politica; il vagheggiare in un’opposizione troppo giusta e generica per essere efficace. Ma c’è tempo per vedere cosa le sardine saranno in grado di dire, fare, disfare, rifare. Per ora, se questo è il post ideologico, non c’è niente da temere.
Il paese ha imbarcato acqua, sono morte altre persone nel Mediterraneo, non ci siamo mai vergognati abbastanza, gli intellettuali si sono organizzati in hashtag (#nonsiamopesci) e pochi mesi più tardi in sardine. Il mare e i pesci sono entrati dappertutto, anche nelle elezioni calabresi del mese prossimo, con settimane di discussioni intorno all’imprenditore del tonno Callipo, istituzione sana dell’economia regionale di laggiù, un signore che nella vita, tra le tante cose, è stato anche marinaio.
Nati sotto il segno dei pesci, mai come quest’anno.
I pesci da cui discendiamo tutti, che mai come quest’anno assistono curiosi al dramma collettivo di questo mondo che a loro indubbiamente deve sembrar cattivo.
Lo Strega lo ha vinto l’eterno secondo, Antonio Scurati, con “M”, un libro su Mussolini bellissimo ma pieno di inesattezze storiche, e il dibattito che ne è seguito non è stato male.
I libri, nel 2019, hanno fatto parlare e in questo senso sì che è stato un anno bellissimo: il volume d’affari di piccola e media editoria è cresciuto di sei punti percentuali e di altri quasi quattro punti sono aumentate le vendite della varia. Dati che però vanno letti insieme a quelli dell’Ocse Pisa, secondo cui il 23 per cento dei ragazzi italiani ha grosse difficoltà a capire cosa legge. Uno dei best seller più discussi e amati è stato quello di Stefania Auci, “I leoni di Sicilia”, a conferma di un trend recente (i romanzi storici sono i nuovi romanzi rosa) e di uno passato (niente piace di più agli italiani delle storie di famiglia). Bret Easton Ellis ha pubblicato “Bianco” e s’è preso qualche insulto e nelle bolle degli intellettuali ci si è molto accapigliati sul dovere di riconoscere che è un genio assoluto o un rimbambito trombone.
Il disco più bello lo ha pubblicato Massimo Pericolo, uno che nella vita ha spacciato e visto la galera. C’è un suo verso che dovrebbe essere il matra di tutti, per l’anno che verrà: «Noi non faremo l’errore come fanno le altre persone di fare sempre la scelta più giusta invece di quella migliore». Tra sardine, rapper che hanno scritto bei dischi, vinto Sanremo (e scalato classifiche per molti mesi a seguire, cucendo così la bocca a quelli che hanno accusato il festival di aver ignorato il giudizio popolare e consegnato la vittoria a un pupillo delle élite – Mahmood) e X Factor, piccoli militanti ecologisti, piccoli romani che hanno detto “nun me sta bene che no” ai neofascisti di CasaPound quando si sono opposti all’arrivo di alcuni nomadi nei centri di accoglienza di Torre Maura, a Roma, la generazione Z italiana ha dimostrato di essere una scommessa su cui vale la pena puntare, o almeno festeggiare il capodanno con una speranza ben riposta, e tutte le fragole al loro posto.