Economia sfericaLa chiave per innovare davvero? Puntare non sulle eccellenze, ma sulle diversità

Secondo diversi tra gli esperti più autorevoli in circolazione, le caratteristiche personali non sono tutto per riuscire nella vita. Allo stesso modo, per realizzare qualsiasi progresso significativo non bisogna necessariamente puntare su ciò che sembra vincente, ma su ciò che ci rende diversi

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Sono un appassionato lettore di biografie e un inesauribile ascoltatore di storie personali, tant’è che da tempo sostengo che ogni storia merita di essere raccontata e da qualche anno alcune le porto anche nella mia trasmissione radiofonica “Il Tempo dei Nuovi Eroi”. L’altro giorno, l’arguto autore di una newsletter che seguo sempre con interesse, mi ha fatto riflettere su uno degli aspetti che più attraggono l’attenzione sulle vite degli altri, il successo, inducendomi a scoprire un interessante articolo pubblicato nel 2018 da Scientific American e intitolato più o meno così: Il ruolo della fortuna nel successo della vita è molto più grande di quanto crediamo.

Cosa serve per avere successo? Quali sono i segreti delle persone di maggior successo? Si chiede l’estensore. Ebbene, ci dice, caratteristiche come il talento, l’abilità, la forza mentale, il duro lavoro, la tenacia, l’ottimismo, l’intelligenza emotiva – che le hanno portate dove sono oggi – non sono tutto.

Negli ultimi anni, prosegue, una serie di studi e libri – compresi quelli del filosofo e matematico Nassim Taleb, dello stratega degli investimenti Michael Mauboussin e dell’economista Robert Frank – ci hanno rammentato che la fortuna e le opportunità potrebbero svolgere un ruolo molto più grande di quanto non crediamo, in un certo numero di campi, inclusi quelli del commercio, quello finanziario, dello sport, dell’arte, della musica, quello letterario e quello scientifico. La loro tesi ovviamente non è che la fortuna sia tutto; il talento conta sempre. La loro tesi ci suggerisce che se ci concentriamo solo sulle caratteristiche personali nel tentativo di comprendere le determinanti del successo, ci perdiamo una parte davvero importante del quadro d’insieme.

Uno dei fattori chiave è il modo con cui distribuiamo risorse nella società: dalle opportunità di lavoro ai contributi pubblici, alle decisioni politiche, tutto dipende dalla tendenza a fornire risorse a coloro che hanno una storia di successo e a ignorare coloro che non l’hanno avuta supponendo che i primi siano più competenti. Ma questo assunto è corretto? Sembrerebbe di no. Sembrerebbe che circa la metà delle differenze di reddito tra le persone in tutto il mondo è spiegata dal loro paese di residenza, e alle caratteristiche della distribuzione del reddito in quel paese. Fattore indipendente dai nostri meriti visto che non possiamo scegliere dove nascere. Inoltre, molte strategie meritocratiche utilizzate per assegnare onori, fondi o premi si basano spesso sul successo passato della persona. Selezionare le persone in questo modo crea uno stato di cose in cui i ricchi diventano più ricchi e i poveri diventano più poveri. Cioè il fenomeno spesso indicato come Matthew Effect derivando il nome dal passo del vangelo di Matteo che recita: «a chi ha verrà dato e avrà in abbondanza mentre a chi non ha verrà tolto anche il poco che ha». Al di là di quanto possa apparire immediatamente giusto o ingiusto, è questa la strategia più efficace per massimizzare il potenziale umano? È più funzionale concedere grandi sovvenzioni a pochi candidati precedentemente vincenti o un numero di sovvenzioni minori a molte persone di successo medio? Non può forse esistere una strategia di finanziamento più efficace per massimizzare l’impatto sul mondo?

Uno studio condotto da Jean-Michel Fortin e David Currie suggerisce che le strategie di finanziamento incentrate più sulla promozione della diversità che sull’eccellenza potrebbero essere più produttive per la società. In un altro loro studio più recente, i due autori hanno esaminato il finanziamento fornito a 12.720 ricercatori in Québec in un periodo di quindici anni e hanno concluso che sia in termini di quantità sia di impatto scientifico, la concentrazione del finanziamento della ricerca nelle mani della cosiddetta “élite” produce generalmente rendimenti marginali decrescenti.

Dunque, non si tratta di imparare la lezione «che la vita è ingiusta e bisogna solo sperare che sia più ingiusta per gli altri» come chiosa l’arguto estensore della newsletter, si tratta al contrario di invertire il paradigma da “mors tua, vita mea” a “vita tua, vita mea”. È con la promozione delle diversità che si promuove lo sviluppo, per tutti. Nessuno escluso.

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