C’è una domanda che il sistema politico dovrà cominciare a porsi in vista del giro di boa del gennaio 2020. E se NON vince Matteo Salvini? Se l’Emilia resta al Pd di Stefano Bonaccini e la Calabria se la prende il Pd di Pippo Callipo? L’ipotesi finora non è stata contemplata e tutte le energie sono state spese per costruire exit strategy basate sul presupposto contrario, e cioè sulla vittoria sovranista con conseguente frana dei democratici, del M5S, del governo e ovviamente della legislatura. Anche per questo la legge elettorale è tornata ai primi posti dell’agenda di maggioranza e Parlamento: «Bisogna prepararsi al voto in primavera» è la frase più ascoltata in ogni capannello di deputati e senatori ovunque radunato.
E tuttavia la piega presa dalla campagna per le Regionali comincia ad autorizzare ipotesi diverse. In Calabria il centrodestra non ha ancora nemmeno un candidato mentre il fronte opposto è riuscito a convincere un personaggio come Callipo, imprenditore assai stimato e popolare anche tra i descamisados M5S (che lo hanno inutilmente corteggiato). In Emilia Romagna, gli ultimi sondaggi di Noto e Piepoli danno Bonaccini avanti, anche se di un solo punto, mentre Tecnè lo quota alla pari con la leghista Lucia Borgonzoni.
In Calabria il centrodestra non ha ancora nemmeno un candidato mentre il fronte opposto è riuscito a convincere un personaggio come Callipo
Gli esperti dicono che l’effetto-Sardine conterà poco (Alessandra Ghisleri lo congela al 5 per cento) ma non c’è dubbio che quel tipo di mobilitazione potrebbe risvegliare dall’astensionismo i moltissimi elettori di sinistra che nel 2013 manco si presentarono ai seggi e fecero precipitare il numero dei votanti al 37 per cento. Fra l’altro è stato il leader leghista a dare un carattere nazionale al voto emiliano, a presentarlo come la madre di tutte le sue battaglie. Sarà difficile derubricarlo il giorno dopo ad affare locale, soprattutto se la sconfitta dovesse essere doppia (pure in Calabria, di fatto, le candidature le sta imponendo la Lega a dispetto di una recalcitrante Forza Italia).
«Che farete se NON vince Salvini?», allora, diventa una domanda lecita, qualcosa in più di un gioco di società. L’attuale maggioranza è nata dichiaratamente per tagliare la strada all’escalation elettorale del Capitano, e nel caso ottenesse un successo su questo fronte sarebbe opportuno capire come lo utilizzerà. Ma l’interrogativo è molto attuale anche per il Centrodestra, che ha consegnato a Salvini le chiavi di casa immaginando di puntare su un cavallo sicuro e fra un paio di mesi potrebbe cominciare a riflettere sulla scommessa fatta, o quantomeno a riattivare progetti competitivi verso una Lega non più imbattibile, non più indiscutibile.
«Che farete se NON vince Salvini?». l’interrogativo è molto attuale anche per il Centrodestra, che ha consegnato a Salvini le chiavi di casa
Se NON vince Matteo Salvini la maggioranza giallo-rossa dovrà decidere di diventare adulta e di assumersi le responsabilità che la fortuna gli ha consegnato nel passaggio più difficile della sua storia: dissolto lo spettro di elezioni politiche anticipate le guerricciole identitarie di questi mesi (vedi Scudo Ilva) perderanno ogni senso e si dovrà dar prova di capacità politiche oltre l’ossessione dei sondaggi. Se NON vince Salvini bisognerà accollarsi la croce delle troppe crisi aziendali ancora aperte, dell’Ilva, di Alitalia, di Wirphool, superando l’approccio propagandistico tenuto finora col retropensiero che “tanto si vota”. Se NON vince Salvini si dovrà tirar fuori un’idea di Italia più articolata della “diga contro Salvini” che finora è stata il core-business dell’impresa governativa.
Sono problemi non da poco, anche perché il mondo democratico è sulle barricate anti-populiste prima e anti-sovraniste poi da un tempo infinito, almeno dal 2013, e c’è la sensazione che abbia dimenticato come produrre politica senza quel tipo di acqua alla gola. Tanto che persino se NON vince Salvini è possibile che l’Italia si incammini verso il precipizio di nuove elezioni, così, per forza di gravità, per incapacità di allestire un piano differente, perché ormai nei partiti italiani le campagne elettorali sono il solo modo per sentirsi vivi, o per i consueti calcoli poraccisti della nostra politica i quali in questa fase consigliano: meglio votare a maggio, prima che scatti il dimezzamento dei seggi, e poi si vede…