Genio universale. Figura chiave del Rinascimento. Anticipatore, moderno, visionario. Si tratta di Leonardo da Vinci, celebrato per tutto il 2019 (e si continuerà anche nel 2020) in occasione dei 500 anni della sua morte. Personaggio eccezionale «già per i contemporanei», spiega il professor Carlo Vecce, docente di letteratura italiana all’Università Orientale di Napoli e autore per Salerno editore di La biblioteca di Leonardo (2017), visto che amava stupire non solo con le sue opere, ma anche con il suo aspetto: «Vesti lunghe e barba bianca incolta», per «sembrare un filosofo dell’antichità».
Cosa rimane di questa annata “leonardiana”?
Il bilancio è senz’altro positivo. Soprattutto in Italia, nonostante qualche polemica iniziale. Il comitato ministeriale ha lavorato bene, con iniziative di eccellenza. Non tante. Ma segnano un cambiamento nel nostro modo di vedere Leonardo.
Quali sono?
La più grande iniziativa di quest’anno è stata di sicuro la mostra al Louvre, per cui ci spostiamo in Francia. Per ampiezza, numero di dipinti, disegni tecnici e manoscritti. Ma anche per il percorso espositivo, che raccontava e faceva capire bene il modo in cui Leonardo lavorava.
E in Italia?
C’è stata più una rete di mostre, diffusa lungo tutta la penisola. A Venezia l’esposizione dei disegni, con tanto de l’Uomo Vitruviano, a Torino quella sui disegni autografi, con il Codice sul volo degli uccelli. A Roma, tra le tante, quella sulla bottega. Milano si è distinta per la sua Madonna Litta. Per non parlare a Firenze, che agli Uffizi hanno aperto una sala dedicata a lui. Fino al 2019 c’è stato anche il Codice Leicester [di proprietà di Bill Gates, ndr], ora il dipinto con il Verrocchio. Io anche ho collaborato, in particolare ai lavori sulla biblioteca di Leonardo, organizzata dall’Accademia dei Lincei. Adesso ne esiste anche una sua versione digitale. È importante per comprendere il percorso di produzione delle sue opere.
Dopo tanti anni di studio ravvicinato, che idea si è fatto di Leonardo da Vinci?
La mia immagine, direi, è opposta a quella vulgata e abbastanza diffusa che lo vede come “genio dell’imperfezione”, un grande dilettante, soprattutto nel campo artistico. Tutt’altro. Leonardo è stato uno straordinario artista. E di grande modernità. Nella sua visione delle cose, anche da pittore, era giunto alla conclusione di doversi adattare ai principi della realtà: che però sono quelli di un mondo in divenire, sempre in cambiamento. Per questo si appassiona più al processo di creazione che all’opera compiuta. Al lavoro, nel suo farsi, che al suo termine. E sembra che non vorrebbe finirlo mai.
Era davvero un personaggio eccezionale?
Credo di sì. Era in grado di vedere oltre alla superficie delle cose. Sapeva sognare, immaginare: pensiamo ai suoi disegni sulle macchine, che considerava più come esseri viventi che come oggetti: erano sempre innovative, mai viste prima – e non importa se poi le abbia realizzate o meno. Aveva una capacità di visione della realtà su cose – ad esempio: lo studio dei corpi – che per noi, 500 anni dopo e avendo a disposizione gli strumenti del digitale, appaiono normali. Ma all’epoca non lo erano.
Era eccezionale anche per i contemporanei?
Sì, era già riconosciuto anche ai suoi tempi. E va detto che lui stesso contribuiva, se vogliamo, ad alimentare questo mito, con le sue vesti lunghe, la barba bianca incolta, che lo facevano sembrare un filosofo dell’antichità. Ma è una piccola trappola: noi dobbiamo fermarci prima, resistere alla tentazione di immaginare miti, enigmi, misteri, che poi ci conducono al Codice Da Vinci di Dan Brown. Leonardo va studiato, nella sua grandezza, in riferimento alla sua epoca.
In tanti però ci sono cascati. E hanno cercato di appropriarsi della sua figura. Penso alla mostra del 1939 in cui Leonardo diventa “genio italico”.
Esatto. Episodi simili ce ne sono sempre stati. Indicare Leonardo come “italico”, nel 1939, voleva dire – era sottinteso – “fascista”. E prenderne possesso, anche solo dal punto di vista della tradizione, era un modo per portare acqua al mulino del regime. Ma va ricordato che il mito di Leonardo, allora, era abbastanza recente. Prima del ’800 non era molto conosciuto.
Veramente?
Sì, era noto perché compariva nelle Vite di Giorgio Vasari. Però ci volle l’esposizione della Gioconda, all’inizio del XIX secolo, a renderlo celebre. A quel punto diventa un mito francese, per i francesi era un genio francese nato per caso in Italia. Ma le appropriazioni continueranno. Cento anni dopo, nel 1919, in una nuova mostra congiunta tra Italia e Francia, diventa simbolo del “genio latino” contro quello germanico, e si vede l’influenza della Guerra appena finita.
Poi viene il fascismo.
Con l’esposizione del 1939, cui abbiamo già accennato. Ma l’appropriazione peggiore, a mio avviso, è quella della mostra a Tokyo del 1942: in pieno conflitto mondiale, nel periodo della battaglia delle Midway, Leonardo da Vinci viene presentato come “genio della guerra”, precursore dell potenza giapponese. Cosa che, come è ovvio, non c’entra nulla, è anche assurda. Come altrettanto bizzarre sono le teorie, che si sono susseguite negli anni, che lo vogliono di origini cinesi, o arabe.
Oggi invece, come appare?
Come ho già detto, c’è una visione che lo considera un “genio illetterato”, calcando sulla sua spontaneità. E nonostante io non sia d’accordo, devo riconoscere che questa lettura pesca elementi della realtà. Era un uomo di origini popolari, autodidatta, non conosceva il latino, e lo studiò poi in età avanzata. Per tutta la vita cercò superare, con lo studio e l’impegno, questo genere di insufficienza, già evidente per l’epoca. Non era un umanista, ma ne conservava la tensione ideale nello spirito. Senza essere uomo di lettere, Leonardo era comunque un uomo universale. Oggi lo vediamo così: aperto a ogni forma di sapere e pronto al superamento di ogni tipo di barriera, dalla nazionalità, al genere, all’etnia.