Forza PdProcesso immaginario a Zingaretti: ecco perché il segretario non sarebbe assolto

Poco incisivo e incapace di risolvere la crisi del partito per l’accusa, dotato di senso di responsabilità e impegnato per l’unità del governo secondo la difesa: ma se si immaginasse di sottoporre il capo del Pd al giudizio di un tribunale politico, non ne uscirebbe indenne

Andreas SOLARO / AFP

Alla fine dell’anno 2019 in un immaginario tribunale italiano va in scena il processo a Nicola Zingaretti, segretario del Partito democratico. Accusa e difesa abbondano entrambe di argomenti a sostegno delle loro tesi. Grande è la suspence sul verdetto finale.

LA PAROLA ALLA ACCUSA

Signori membri della giuria, all’imputato qui presente, il signor Nicola Zingaretti, possono essere mosse diverse contestazioni. Mi limiterò alla più macroscopiche, dalle quali discendono altre meno rilevanti che qui tralascio per carità di patria.

Dunque, l’imputato è diventato segretario del Partito democratico nella primavera del 2018, diciamo così, senza combattere. Nessuno dei suoi due avversari – gli onorevoli Martina e Giachetti – erano in grado di vincere, né si fecero avanti altri candidati per lui pericolosi. L’imputato dunque vinse nel vuoto, per una sorta di ineluttabilità: e già questo ne indebolì il carattere. Egli infatti non brillò mai per coraggio e senso della sfida, preferendo in ogni circostanza muoversi felpatamente, senza crearsi nemici e sempre all’ombra di personaggi suoi mentori. Infatti, quando sopraggiunse, non per suo merito, la crisi di governo, egli puntò alle elezioni anticipate ma si accodò subito alla decisione altrui di formare un nuovo esecutivo. Neppure battagliò quando si trattò di confermare a Palazzo Chigi il professor Conte, che pure l’imputato non desiderava affatto. Anzi, solo tre mesi più tardi magnificò il presidente del Consiglio elevandolo inopinatamente a “punto di riferimento oggettivo” della sinistra italiana. Nel frattempo egli aveva evitato di assumersi la responsabilità di ministro-vicepremier con la motivazione di voler restare alla guida della Regione Lazio, con relativo stipendio e personale a sua disposizione.

L’imputato ha dato spesso segni di subalternità al Movimento Cinque Stelle, indicato persino come soggetto di un’alleanza strategica salvo poi entrarvi spesso e volentieri in polemica anche dura. Il risultato di questa alleanza in Umbria è stato disastroso. Né vi è stata mai alcuna analisi seria sul tema delle alleanze preferendo seguire gli eventi senza determinarli.

Ciò avviene anche al livello dell’esecutivo. Gli esponenti del Pd al governo lamentano la mancanza di indicazioni da parte del segretario del partito, le cui funzioni sono totalmente assorbite dall’onorevole Franceschini. È da quest’ultimo, assieme all’onorevole vicesegretario Orlando, che discendono tutte le decisioni.

Il signor Zingaretti in questi quasi due anni di segreteria non ha saputo o voluto mettere mano alla catastrofica situazione del suo partito, che anzi, secondo taluni, si è ulteriormente aggravata. Da mesi e mesi non esiste la segreteria nazionale e il partito è governato dal suo staff personale; non sono state assegnate responsabilità specifiche; la Direzione continua a essere una sede relativamente autorevole; lo scollamento con i gruppi parlamentari è vistoso; il territorio non è minimamente curato; la comunicazione non esiste, essendo fra l’altro stato improvvisamente e senza spiegazioni chiuso il sito Democratica; nulla è stato fatto per procurare nuove entrate; il personale è sempre in cassa integrazione.

Altro si potrebbe aggiungere, signori della giuria: dalla pressoché totale irrilevanza dell’imputato nel dibattito culturale o nel panorama internazionale. Ma non vi insistiamo, concludendo semplicemente con la richiesta di una condanna politica.

LA PAROLA ALLA DIFESA

Egregi signori della giuria, avete udito dal Pubblico ministero molti capi d’accusa, alcuni dei quali davvero infamanti e pertanto irricevibili, a carico del mio assistito. Si tratta di accuse per lo più astratte e ingiuste in quanto non tengono minimamente conto delle circostanze specifiche, dell’ambiente e del momento in cui questi presunti fatti si sarebbero determinati.

Prendiamo per esempio le accuse che sono state rivolte all’imputato sulla questione del funzionamento del partito. Ma come si può non tenere conto della condizione pietosa cui lo avevano lasciato i predecessori dell’attuale segretario? Come si può non ricordare lo sfascio dei gruppi dirigenti, la dominanza della fedeltà a un capo corrente piuttosto che alla comunità, la prevalenza di criteri correntisti o addirittura amicali nella selezione dei dirigenti? Tutto questo, e altro ancora, il signor Zingaretti lo ha trovato, non lo ha creato. E non si dica che il predominio dello staff sia invenzione sua! Chi, finora, ha contribuito a creare un clima nuovo? Non certo i capi correnti, che continuano a fare il bello è il cattivo tempo. Di qui, semmai, emerge la solitudine dell’imputato: che è anche prova di onestà intellettuale e morale.

Si è detto poi che l’imputato sia stato, come dire, pavido nell’accettare un nuovo governo presieduto dal vecchio premier: ma non è stato forse in omaggio ad un profondo senso di responsabilità di fronte al Paese e al suo stesso partito? E poi: come avrebbe potuto, il signor Zingaretti, rovesciare il parere pressoché unanime non solo all’interno del Pd ma degli ambienti che contano, e dell’Europa, del tutto favorevoli a un nuovo governo? Grande lungimiranza il segretario ha invece dimostrato quando, con pazienza certosina, in questi mesi ha lavorato per tenere unita la coalizione a fronte di tanti protagonismi fuori luogo: e se oggi l’Italia ha un governo senza la destra è merito innanzi tutto del mio assistito che pazientemente opera perché esso si rafforzi e faccia il bene del Paese. Respingo poi con sdegno l’accusa di non voler voluto fare il ministro, decisione dettata dalla esclusiva volontà di assicurare il governo della Regione Lazio. Altro che opportunismo, dunque, altro che mancanza di personalità.

Passando sopra le polemiche, l’imputato cerca di attrarre progressivamente i grillini o parte di essi dalla parte di una nuova coalizione di centrosinistra, essendo evidente che da solo il Pd non basta. Serve un’intesa con il Movimento, oltre che con altre forze. Ci sono forse altre strategie? E quali, di grazia?

Pur avendo subito due scissioni, il partito guidato dal mio assistito si attesta secondo i sondaggi più o meno sulla percentuale delle ultime elezioni. La sconfitta in Umbria era assolutamente prevista, mentre è probabile la vittoria in Emilia e in diverse regioni ove si voterà in primavera.

Il signor Zingaretti è convintissimo che sia necessaria un’ampia riforma del suo partito insieme a una ridefinizione profonda del suo programma e della sua identità: per questo ha iniziato a ragionare a un Congresso di svolta, da preparare mentre si rafforza l’azione del governo. Il tutto attraverso una direzione collegiale, con una segreteria aperta a tutte le componenti. In questo modo si può preparare la sfida per le prossime elezioni politiche.

Da ultimo, illustri membri della giuria, osservo che la segreteria del mio assistito non ha alternative credibili. E che con passo lento ma costante egli sta prefigurando una nuova stagione vincente per i progressisti italiani: ed è con questa convinzione che vi chiedo un verdetto di assoluzione piena.

IL VERDETTO

Udite le argomentazioni dell’accusa e della difesa, la Giuria non è riuscita a trovare l’unanimità ma anzi si è divisa in due, tanto efficaci sono parse le due arringhe.

La Giuria tiene a sottolineare che elementi di verità sono presenti in entrambe e dichiara la sua volontà di concludere con un verdetto di condanna a lavorare più intensamente sul fronte delle idee e delle proposte specialmente sul tema dell’economia italiana e a sottomettersi ad una paziente cura di analisi politica sul tema delle alleanze. Così come il condannato dovrà mettersi alla prova nella direzione concreta di un partito moderno, aperto e davvero democratico.

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