Il fatto che non sia un vero anniversario già suggerisce qualcosa. L’album di Prince si intitola “1999”, ma è stato pubblicato nel 1982. Sono passati 37 anni, per niente tondi, nemmeno quadri. Però il gioco è lì: prendere tutti in controtempo. E lo spirito originale (forse si può dire funky?) viene conservato. Perché il cofanetto deluxe della riedizione, che comprende cinque cd o dieci lp, più un dvd del concerto a Houston del 1982 presenta soprattutto – ed è qui la novità – una decina di canzoni tratte dalla celebre Vault del cantante, la cassaforte-ghiacciaia in cui custodiva decine o centinaia di composizioni che, alla fine, sceglieva di non pubblicare. Perché non era convinto, forse. O perché non le riteneva adatte al momento.
Tra queste si segnala Purple Music, un piccolo capolavoro di 10 minuti che si basa sui ritmi della drum-machine (ormai diventata di uso comune nel pop odierno, ma all’epoca era un espediente per guadagnare tempo nelle registrazioni), alternando linee melodiche delle tastiere, una linea di basso che cresce e guadagna posizioni, e un testo che è un programma, o un manifesto: «Don’t need no reefer, don’t need cocaine / Purple music does the same to my brain / And I’m high, so high (Non mi servono canne o cocaina, la musica viola fa lo stesso al mio cervello / e vado su di giri)». Non è un caso che, congelata nella cassaforte per anni, è stata suonata nel suo ultimo tour nel 2016.
Anche le altre canzoni della vault segnalano la sua versatilità: Yah You Know ricorda l’ultimo Bon Iver per il suo uso dei sintetizzatori, mentre No Call U sembra uscita da una festa di fine scuola americana anni ’60 ma con i brillantini e le spalline degli anni ’80. Niente più di Turn It Up sembra segnare i suoni dell’epoca in cui è stata scritta, e al contrario Vagina, (che ribatte, con le parole «Half-boy, half-girl, the best of the two worlds», sul tema dell’ambiguità sessuale, che sempre accompagnerà l’artista) somiglia, nella ruggine aggressiva delle chitarre, ai Rolling Stones.
Proprio loro, del resto, lo avevano notato e scritturato per aprire i loro concerti nel 1981, quando la sua lunga parabola musicale, ancora agli inizi e segnata da una attività febbrile, lo aveva già fatto diventare famoso. Nel 1978 era uscito il suo primo album, For You, seguito due anni dopo da Dirty Mind, ma il grande salto arriva proprio con 1999, tema bizzarro, visto che all’epoca nessunno pensava alla fine del millennio, mentre le preoccupazioni apocalittiche disseminate tra le sue canzoni (“The sky was all purple, there were people runnin’ everywhere / Tryin’ to run from the destruction, you know I didn’t even care”) sembrano legate ad ansie molto più contemporanee.
Ma l’idea di trovarsi a un cambiamento epocale, almeno dal punto di vista musicale, era vera: lo stile funky, euforico, ritmato, divertente, godurioso che sostiene le sue canzoni è pura gioia espressiva e miscela di generi, sia bianchi che neri, che aprirà un nuovo decennio di sperimentazioni e idee.
Del resto 1999 è l’album di Prince anche perché lo lancia nel video – una dimensione che padroneggia alla perfezione – in una epoca in cui MTV diventa parte del cambiamento, ed è l’album di Prince perché contiene, in nuce o già in via definitiva, tutte le strade espressive che seguirà nel resto della sua carriera.
Più che una trovata commerciale, il finto anniversario – o anniversario ideale, se proprio si vuole – è anche un omaggio, un documento storico, una release per appassionati /musicologi (altro non si può interpretare le varianti di registrazioni di studio delle canzoni poi pubblicate), una piccola mano alzata per ribadire un concetto che è già nell’aria da tempo (o almeno, tra le pagine del New York Times): il ritorno del funk, che viene perfino celebrato come il sound del momento.
È vero: la sincope innovativa, il ritmo inaspettato, il battito a sorpresa è di nuovo qui. E in questo senso, prendere in controtempo anche gli anniversari, giocando con le date e le aspettative, è molto funky.