Protesta meta-politicaPer capire le sardine, leggete John Stuart Mill e la sua lode alla libertà d’espressione

Migliaia di persone in piazza per un flash mob: non ci sono comizi, non ci sono bandiere. C’è uno slogan, sempre lo stesso: una certa città “non si lega”. Un evento unico al mondo, che dà ragione alle teorie del filosofo e tenta così di eliminare la disinformazione e le espressioni d’odio dal web

Migliaia di persone si riuniscono in piazza per un flash mob. Non ci sono comizi, non ci sono bandiere. C’è uno slogan, sempre lo stesso: una certa città “non si lega”, unico riferimento politico esplicito a un partito e a un’area politica di destra. E poi si canta l’inno nazionale, “bella ciao”, a volte si legge la Costituzione. Il fenomeno è contagioso, il copione è sempre lo stesso e presenta numeri che non possono essere ignorati: in appena due settimane già in 37 città. Altre 28 sono programmate in questo mese. Le sardine sono state accusate di proporre un messaggio in negativo: “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Eppure, dal loro manifesto, emerge un messaggio chiaro. E sorprendente. Si accusano i populisti di aver unito verità e menzogne, di aver approfittato delle paure “per rapire la nostra attenzione”, di aver affogato “contenuti politici sotto un oceano di comunicazione vuota”, spingendo “i più fedeli seguaci a insultare e distruggere la vita delle persone sulla rete”. Questa “comunicazione vuota”, fatta di menzogne, odio, paura spesso veicolate “sulla rete” avrebbe generato un campo libero, “perché eravamo stupiti, storditi, inorriditi da quanto in basso poteste arrivare”.

Insomma, la reazione delle sardine appare una risposta decentrata, dal basso, alla comunicazione che si fa politica, a strategie basate su un uso dei social intensivo, ripetitivo, ossessivo. È una reazione alle strategie di disinformazione, malinformazione, hate speech che si riverberano da più parti in rete, ma che per le sardine riguardano soprattutto una determinata area politica. Alla piazza dei social si contrappone la piazza delle persone. Come dire: se la sfida è sui like, sui retweet, sugli amici in rete, sul consenso, sul numero di partecipanti ai comizi, quella sfida la accettiamo e la rilanciamo. Con le persone vere, non con account falsi o anonimi. Se la politica si è ridotta a questo, sembrano dirci le sardine, a slogan urlati, alla viralità di post e immagini pensati per suscitare emozioni ‘contro’ (ad esempio contro gli immigrati, contro l’integrazione e le politiche sociali) allora mostriamo l’altra faccia della medaglia. Per questo basta stare in piazza, in silenzio. Esserci, mostrarsi, contarsi. Numeri contro numeri per dare forma a un pluralismo che non trovano più nel web o in tv.

Per quanto odiosa possa essere un’opinione essa dunque va lasciata libera perché, se falsa, stimolerà l’organizzazione di una opinione contraria che, in assenza di vincoli, emergerà

Nel momento in cui, in varie parti del mondo, si discute sulle regole che i social e le piattaforme on-line si sono date per gestire autonomamente le espressioni d’odio e la disinformazione, ecco che appare una risposta di “voice”, una protesta contro il modo in cui viene fatta certa comunicazione politica e contro certa politica che coincide con la modalità di comunicazione. In fondo si tratta di una protesta meta-politica, sul modo in cui stiamo insieme e decidiamo insieme. Sul modo in cui costruiamo, nel web, l’opinione pubblica per la deliberazione. Si tratta di un fenomeno unico, almeno per il momento, a livello mondiale. Sembra la risposta in carne e ossa al nuovo contratto sociale proposto qualche giorno fa da Tim Berners Lee, per eliminare la disinformazione e le espressioni d’odio dal web. Una risposta che dà ragione a John Stuart Mill e al suo saggio del 1859 sulla libertà d’espressione.

Quella libertà, infatti, è per Mill non un fine in sé, ma uno strumento per permettere a cittadini razionali di confrontare le diverse opinioni e conseguire la verità (con la ‘v’ minuscola). Per quanto odiosa possa essere un’opinione essa dunque va lasciata libera perché, se falsa, stimolerà l’organizzazione di una opinione contraria che, in assenza di vincoli, emergerà. Spegnere le opinioni contrarie, anche se false, costringe la verità a trasformarsi in dogma, in discorso pubblico scontato e acquisito, senza contestatori ma anche senza difensori. Le sardine, che si condivida o meno il loro punto di vista, sono la risposta milliana ad un racconto del reale che per molti mesi, se non anni, sui social e sui media tradizionali è parso dominante e incontrastato. Per questo le sardine in piazza hanno già conseguito un risultato enorme. Sono la sfida a una nuova opinione pubblica che per mesi è sembrata dominata da un unico racconto, da una sola agenda. E per questa ragione, anche coloro che si ostinano a criticare le sardine – magari perché difendono il politicamente scorretto come nuova modalità di racconto del reale – dovrebbero accoglierle con gratitudine. Esse dimostrano che finché ci sono piazze che si autoconvocano per dimostrare un’altra verità, forse non abbiamo bisogno di nuove regole per contrastare le espressioni d’odio, o almeno non ancora. Forse. Comunque sia, è già qualcosa.

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