Nel 1906 il sociologo tedesco Werner Sombart scrisse un breve saggio dal titolo “Perché non c’è il socialismo negli Stati Uniti?”: l’illustre accademico berlinese, che aveva registrato in Patria un forte successo dell’Spd (alle elezioni del 1903 raccolse il 31,7%), si chiedeva come mai, nonostante la fase avanzata dello sviluppo capitalistico, il socialismo come movimento di massa stentava ad affermarsi Oltreoceaon. La sua risposta, in sintesi, era che l’esistenza della frontiera consentiva di allargare le basi dell’accumulazione. A più di cent’anni di distanza, questa finestra è da tempo chiusa. E la disuguaglianza delle condizioni di partenza spesso si rispecchia nelle condizioni di arrivo. Per questo da qualche anno il socialismo ha di nuovo una cittadinanza politica all’interno del partito democratico. Ma facciamo un passo indietro.
Siamo nel marzo 1921. In un tripudio di bandiere rosse e al suono dell’Internazionale, lo scrittore Upton Sinclair, candidato del Partito Socialista Americano, giura come primo presidente di sinistra degli Stati Uniti d’America. Una svolta epocale per il Paese, che cambia per sempre i rapporti di forza tra governo e impresa.
Non lo ricordate così? Infatti questo avviene all’interno di una serie di libri ucronici dello scrittore Harry Turtledove, Southern Victory, dove il Sud vince la guerra civile e si sviluppa come nazione accanto agli Stati Uniti, i quali, liberi dal fardello del solido Sud in mano ai democratici segregazionisti, vedono i socialisti affermarsi come uno dei due partiti, accanto ai Democratici, nel frattempo divenuti più conservatori. Ma anche nella storia come realmente accaduta, il socialismo comincia a fare capolino.
Nell’immediato dopoguerra il presidente pro tempore del Senato Benjamin Wade, repubblicano radicale dell’Ohio, chiede una redistribuzione delle terre appartenenti agli ex piantatori in favore dei neri liberati, tanto da guadagnarsi una citazione ne Il Capitale di Karl Marx: il 10 giugno 1867 Wade tiene un discorso a Lawrence, in Kansas, dove spinge questa visione molto oltre: «La proprietà è divisa in modo ineguale in questo Paese e una migliore redistribuzione del capitale dev’essere realizzata». Ma questo messaggio fu isolato anche tra l’ala radicale del partito repubblicano e, come abbiamo visto in una precedente lettera di Jefferson, gli sbarrò la strada per la presidenza in occasione del processo di impeachment di Andrew Johnson. In questi anni il partito repubblicano diventa il partito dei grandi trust del Nord, mentre i democratici rappresentavano principalmente gli interessi della classe conservatrice sudista. Anche il sindacalismo sembrò non attenersi al socialismo in modo stretto: nel 1886 la fondazione dell’American Federation of Labor creò un sindacato molto focalizzato sulle questioni del lavoro e quindi meno “cinghia di trasmissione” di altri equivalenti europei che cercavano uno sbocco politico. Il fondatore Samuel Gompers aveva una filosofia molto più semplice: aiutare in politica i propri amici e affossare i nemici.
Ma ciò non vuol dire che il marxismo non stesse iniziando a diffondersi: due grandi scioperi del 1877, quello generale di Saint Louis e quello dei lavoratori ferroviari vennero organizzati da un piccolo partito socialista, il Workingmens’ Party. Ma fu soltanto con Eugene Debs che il socialismo trovò la propria voce, quasi un apostolo o un profeta. E tale lo considera ancora Bernie Sanders. Debs era nato a Terre Haute, Indiana, nel 1855 e inizialmente non era un socialista, anzi. Era un democratico moderato attivo nel sindacato dei pompieri, favorevole a un’armoniosa convivenza tra capitale e lavoro. Nel 1894 però si ritrova coinvolto nello sciopero dei lavoratori delle fabbriche di carrozze ferroviarie Pullmann, a Chicago. Lo sciopero va avanti a oltranza, tanto da bloccare i treni carichi di lettere del servizio postale nazionale. Debs viene arrestato e condannato a sei mesi di detenzione. Durante la permanenza in carcere, diventa socialista. E non uno qualunque, ma uno degli oratori più bravi e capaci, capace di usare una retorica vicina a quella dei predicatori evangelici. Dirà di lui il giornalista John Swinton: «Da giovane ho ascoltato Abraham Lincoln. Adesso c’è Eugene Debs».
La sua retorica lo rese il candidato presidenziale ideale del Partito Socialista d’America da lui fondato nel 1901. La sua fu una leadership riluttante, come spiegò in un discorso tenuto a Detroit nel 1906: «Se cercate un Mosè che vi guidi fuori da questa barbarie capitalista, rimarrete dove siete. Non vi porterei nella Terra promessa se potessi, perché qualcun altro potrebbe portarvi via nuovamente». Alle presidenziali 1912, raffigurate nell’immagine iniziale, il Partito Socialista raccolse il 6%. La colonna del suo sostegno erano i cittadini di origine tedesca ed ebraica che nel 1910 elessero il suo running mate Emil Seidel come sindaco di Milwaukee, in Wisconsin, dove iniziò una lunga striscia di amministratori di sinistra che arrivò fino al 1960. Proprio il Wisconsin nello stesso anno aveva eletto al Congresso un altro dei fondatori del Partito, Victor Luitpold Berger. Nel 1914 arrivò il secondo deputato, il newyorchese Meyer London. Sembrava che si fosse alla vigilia di un’ascesa partitica in linea con l’Europa. Ma i socialisti americani pagarono la loro estrema coerenza su una singola questione: il possibile intervento nella Grande Guerra degli Stati Uniti. Eugene Debs percorse il Paese in lungo e in largo per tenere discorsi in tono febbrile contro la decisione del presidente Wilson di mandare truppe in Francia per combattere il Kaiser. Nessun altro partito socialista fu tanto radicale: i laburisti britannici, così come i socialdemocratici tedeschi e i socialisti francesi, sostennero lo sforzo bellico dei rispettivi paesi. E anche il partito socialista italiano fu ambiguo, scegliendo l’incerta linea del “né aderire né sabotare”. Molti socialisti vennero arrestati in virtù dell’Espionage Act del 1917, che puniva con la reclusione che ostacolava il servizio di leva e dava al governo il potere di non spedire giornali e periodici via posta. In un discorso tenuto a Canton, Ohio, il 16 giugno 1918 per sostenere alcuni militanti arrestati, Debs accusò la classe dirigente di voler usare la guerra come strumento per colpire le classi subalterne e le minoranze, usando toni particolarmente accesi e accusando l’ex presidente Teddy Roosevelt di aver incontrato il Kaiser senza problemi pochi anni prima, come testimoniato da alcune fotografie come questa, scattata nel 1910:
Per Debs è l’inizio di una lunga detenzione che si concluderà solo nel 1921, con la grazia del presidente repubblicano Warren Harding. Ma per i socialisti questo vuol dire l’uscita dal mainstream politico ancor prima di esserci entrati, falciati via dalla repressione e dalla prima Red Scare, con una repressione dei movimenti di sinistra guidata dal Procuratore Generale Mitchell Palmer. Se a Milwaukee sopravvivono fino agli anni Sessanta, nel resto del Paese vengono soppiantati dall’attivismo del partito comunista guidato da Earl Browder. E vicino ai comunisti è anche uno dei rari indipendenti di sinistra eletti al Congresso nel secondo dopoguerra, Vito Marcantonio. La socialdemocrazia rimase schiacciata tra lo scontro tra opposte visioni del mondo.
L’avvento del bolscevismo sulla scena mondiale fece indirettamente una vittima nel movimento socialista statunitense. Ma a cosa si deve questa recente resurrezione? Anche quando venne eletto al Senato nel 2006, Bernie Sanders era una figura singolare e isolata. Per quanto il socialismo mantenne negli anni una lunga influenza intellettuale. Come esempio, basti la mancata riforma sanitaria di Harry Truman, modellata sul National Health Service dei laburisti britannici. Un lungo saggio pubblicato dalla Brookings Institution registra questo cambiamento, specie tra le giovani generazioni. Qui sotto pubblichiamo una tabella tratta da due rilevazioni sondaggistiche di Gallup che illustra in modo eloquente la variazione del pensiero alla domanda “Che cos’è per te il socialismo?”.
Si può notare come nel 1949 fosse prevalente la visione di uno stato onnipresente ansioso di controllare l’economia e le vite dei propri cittadini, mentre oggi socialismo è diventato sinonimo di welfare generoso, come nei Paesi scandinavi (paragone divenuto nel frattempo opinabile). E questo si rispecchia anche nella seconda tabella, tratta da un sondaggio di Yougov sul socialismo svolto nell’agosto 2018. Il quesito è “Qual è il tuo giudizio sul socialismo?”.
Chi è cresciuto all’ombra della minaccia sovietica la pensa molto diversamente dalle generazioni più giovani, che non riescono a capire come mai, a differenza dei loro coetanei europei, non possano avere ferie pagate e maternità senza doversele sudare. E questo spiega la popolarità di Alexandria Ocasio Cortez, nonostante le sue credenze economiche bislacche. Perché incarna anche meglio del candidato socialista alla presidenza la voglia dei Millennial di cambiare lo status quo, per quanto in modo non sempre chiarissimo.
(Tratto dalla newsletter Jefferson-Lettere sull’America. Per iscrivervi cliccate qui)