Il mondo ribolle, la frammentazione continuerà. Anche se la stagione più difficile sembra passata, l’Europa non è indenne alle scosse populiste e, secondo Yves Mény, politologo tra i più importanti del mondo, esperto di populismo e insegnante alla Luiss-Guido Carli di Roma, l’altro rischio è quello di una caduta nella routine, che annulli la volontà politica di andare avanti. In Italia, intanto, si continua a fagocitare il leader di turno, aumentando la debolezza del sistema politico di fronte al cambiamento epocale che sta segnando il mondo, cioè l’avvicendamento delle classi dirigenti e dei poli del potere.
Tempo fa a Linkiesta aveva detto che «le élite non hanno capito che il loro destino è quello di essere sostituite». Lo pensa ancora?
Sì. Non dico che quelle nuove siano migliori, anzi. Come ha scritto Sabino Cassese nel suo libro La svolta, siamo di fronte a un cambiamento delle élite politiche. È anche una questione generazionale: lo vediamo ora in Italia, lo abbiamo visto in Francia, lo vedremo presto in Germania. È un fenomeno vitale, necessario. Tutto sommato normale. Tranne per un fatto.
Quale?
Questa volta il cambiamento avviene in modo radicale. Noi francesi parliamo di dégagisme, che riassume una volontà di rifiuto, di distacco, da parte dei giovani verso le classi al potere attuali. Esprime la loro frustrazione, insieme alla rabbia popolare che sta spingendo le vecchie élite fuori dalla scena. Non sarà un cambiamento positivo. Ma è cambiamento.
E anche le istanze di questi movimenti sono radicali, sia di destra che di sinistra.
Esatto.
C’è spazio per un centro moderato, ragionevole?
Difficile. Penso alla Francia, dove Emmanuel Macron, che si presentava con la sua vittoria come centrista, quindi a cavallo dei vecchi schemi tra destra e sinistra, viene purtroppo recepito piuttosto male da una maggioranza, direi, dei francesi. Perché si sono radicalizzati. C’è una polarizzazione che non è più tra destra e sinistra, ormai. Ma tra estrema destra e tutto il resto – tutto il resto è un insieme di formule politiche, spesso organizzate in modo più debole. L’estrema destra è mobilitata da un rigetto totale delle vecchie élite.
Ci può essere in Italia un leader come Macron?
Io penso che, nonostante le apparenze, agli italiani non piacciano i leader. Questo fa parte della vostra cultura. E anche se adesso sembra che una parte importante della popolazione voglia un leader, e pure forte, come potrebbe essere Matteo Salvini, esiste sempre una resistenza, altrettanto forte.
Io credo che anche uno come Salvini potrebbe avere difficoltà a tornare al potere con il ruolo che vorrebbe proprio a causa di questo rifiuto genetico della leadership
Cosa intende?
Nel giro di pochi anni sono stati creati e poi uccisi diversi leader. Penso a Mario Monti, per esempio. Ma anche Silvio Berlusconi, a ben guardare, non è riuscito a imporsi come leader. E dopo ancora, Renzi. Io credo che anche uno come Salvini potrebbe avere difficoltà a tornare al potere con il ruolo che vorrebbe proprio a causa di questo rifiuto genetico della leadership. E i Cinque Stelle esprimono solo una nuova variante del trasformismo italiano, visto che ormai sono assorbiti al sistema. Da queste cose traggo una conclusione che mi affascina sempre.Quale?
Che il sistema politico italiano è molto debole eppure, allo stesso tempo ha una grande capacità a ingoiare i rospi. Una cosa che in Francia non succede, anzi: sembra l’esatto contrario. In questo momento il sistema politico francese non sarebbe esportabile in Italia e viceversa. Siamo cugini, ma non abbiamo gli stessi gusti in materia di politica.E la Germania? Prima accennava a un prossimo ricambio generazionale.
Anche la Germania è in crisi. Ma è difficile fare previsioni, si tratta di una situazione inedita. Il sistema tedesco è proporzionale, ma si reggeva su due partiti forti e quindi funzionava come se fosse un sistema maggioritario. Adesso ce ne sono almeno cinque, i grandi si sono indeboliti e sono stati costretti alle Grandi Coalizioni – che sono per natura piene di contraddizioni – senza fornire alternative.Però il consenso ai partiti di governo è più alto.
Sì, certo. E quello tedesco è anche un sistema più bilanciato, perché il Cancelliere ha molti meno poteri di un presidente francese, per capirsi. E la sua struttura di check and balance consente di restare a galla anche d fronte a tutte le difficoltà. L’unica certezza è che in Europa, dappertutto, il sistema tradizionale dei partiti politici è a pezzi. Sopravvive grazie all’artificialità dei sistemi elettorali, come in Francia e in Inghilterra. Dove viene meno questo artificio, appunto, il sistema scoppia.E allora: tra dieci anni come sarà messa l’Europa?
Le rispondo con una citazione: come diceva lord Keynes, “nel lungo periodo siamo tutti morti”.Ma dieci anni non è lungo periodo.
Sono comunque tanti. Ma le rispondo allora con un’altra, di Oscar Wilde: cioè che “le previsioni sono molto difficili, soprattutto per il futuro”.Non si sbilancia, quindi.
Più che altro bisogna saper distinguere tra la realtà come è e la realtà come vorremmo che fosse. Io spero che l’Europa sopravviva, che si mantenga viva, che non solo resti come è ma anzi vada avanti.E che annulli i populismi.
A parte quello – certo, comunque. Più che altro il problema è che i governi nazionali non sono d’accordo su quasi niente. Questo è il rischio più forte, cioè che si crei una routine in cui tutti cercano, senza entusiamo, di sopravvivere, senza fiducia né aspirazione a un futuro insieme, a una ever closer union. Allora sì, sarei pessimista.E potrebbe crollare.
Sarebbe un disastro enorme. Io non credo un istante ai sovranisti o ai nazionalisti, che portano solo a un vicolo cieco. Ma il rischio è concreto.Non c’è solo l’Europa a rischio: anche la Nato traballa.
Credo che la valutazione di Macron sia giusta. Che uno strumento dei Paesi cosiddetti democratici si presti a combattere i curdi, cioè quelli che ci hanno aiutato a combattere i jihadisti, mi sembra così contrario ai valori di buona fede e fiducia da togliermi ogni speranza. Andare a letto con Erdoğan non è una buona cosa. Il problema è che al momento non abbiamo molte alternative. In Europa le uniche due forze militari di rilievo sono quella inglese e francese. Gli unici che possano fare guerre, anche piccole. E allora l’idea di un esercito europeo, anche se lontana, rimane quella giusta.