Caro 2020,
ti scrivo così mi concentro un po’. Ti do del tu perché sei molto giovane, la qual cosa mi consente di venire subito al primo sogno che mi sento di affidarti. Vorrei che dare del tu a quelli come te, i giovani, non venisse considerato il quasi crimine che ultimamente è stato considerato, specie da certi genitori di giovani. La madre di Mattia Santori, il sardina numero uno, se ne è lamentata più volte – a mio figlio danno tutti del tu, questi qua della tivù, e lui niente, non l’ha mica zittita con quel De Andrè che fa “profeti molto acrobati della rivoluzione, oggi farò da me senza lezione“, figuriamoci: l’ha lasciata fare, per educazione.
Non mi viene in mente nessuna madre di rivoluzionario, capopopolo, capobanda, caposquadra, capogruppo, caposcout, testa di rappresentanza di molte teste, che si sia preoccupata dei codici riservati al figlio; non mi viene in mente neanche una buona ragione per cui a un rivoluzionario, capopolo, capobanda eccetera dovrebbe interessare come gli si rivolgono i giornalisti.
Capisco le ragioni della signora: non prendono sul serio suo figlio. Giusto. E però, caro 2020, puoi fare presente a questi genitori ontologici che se desiderano che i figli diventino adulti devono levarsi di mezzo e lasciare che portino la croce da soli, in qualunque cosa si sostanzi quella croce, sia essa il tu o la disoccupazione o un rifiuto o una moglie bionda o un marito che lavora in banca? E, più nello specifico, puoi anche far presente a questi qua che è praticamente impossibile prendere sul serio un ultratrentenne la cui madre prende le sue difese pubblicamente? Grazie. Io non lo so com’è che i genitori sono diventati tanto insostenibili, ma so che non intendo confonderli con i loro figli, che sono certa siano migliori, anche perché ci vuol poco a esser migliori di chi prende a sberle un professore colpevole di aver dato un’insufficienza a un asino.
M’auguro che l’istruzione, in questo paese, ora che è in mano a ben due ministri, sappia arginare questa pandemia di idiozia genitoriale, e ti prego di monitorare il lavoro di Lucia Azzolina e Gaetano Manfredi, verso i quali nutrirei totale fiducia se non fosse che una scrive prima il cognome e poi il nome (me lo ha fatto notare il mio collega David Allegranti) e arriva da quel movimento i cui elettori in larga parte si fregiano di aver studiato “presso l’università della vita” e l’altro è ingegnere, e il solo ingegnere di cui mi fidavo, Luciano De Crescenzo, è morto l’anno scorso.
Poi. Visto che saremo al terzo anno dal #metoo e visto che il neo femminismo ha fatto anche cose buone, caro 2020, mi piacerebbe che la piantassimo, tutti, tutte, tutt*, di contare quante donne e quanti uomini sono seduti intorno a una tavola rotonda, e più in generale vorrei che la smettessimo di valutare l’affluenza del genere sessuale, e dire che le donne farebbero meglio, e che le donne sono migliori. Dalle donne, vorrei vedere rivendicato il diritto a fare schifo. E questo non perché io ritenga che non abbia senso sottolineare che esistono anche le signore eccellenti ai signori eccellenti che amano dividersi pagnotte, poltrone e dirigenze solo con quelli con cui possono poi andare a giocare a calcetto o a padel (richiesta nella richiesta: abolisci il padel, 2020 amico mio, ti prego). È che io son qui a sognare l’anno che vorrei, e nell’anno che vorrei la guerra dei sessi è finita, siamo andati tutti in pace, i maschi con le ossa rotte e le femmine sposate ai propri piumini, e il genere sessuale non conta più, e il gender gap non esiste più, e quelle noiose che ieri sono riuscite ad accusare di paternalismo patriarcale pure la BBC per aver intervistato il padre di Greta Thunberg facendolo sembrare il suo burattinaio, ecco, quelle noiose, nell’anno che vorrei, non sono pagate per pensare, e non pensano neanche gratis, impegnate come siamo tutte a godere dello spettacolo dello stramaledetto soffitto di vetro che s’infrange.
Mi piacerebbe, caro 2020, che durante la tua reggenza ci accorgessimo che il solo dato condizionante, ora che le differenze sessuali stanno saltando e tutto è fluido e io credo che sia un gran bene e sempre di più lo sarà, visto gli orrori che abbiamo commesso il nome della salvaguardia dello specifico femminile e dello specifico maschile e dello specifico neutro e dello specifico trans e santoiddio quante sono queste specificità, che il solo dato che ci forma, informa e differenzia è il tempo. Niente caratterizza l’essere umano più delle ore che ha o non ha a disposizione, dell’anno in cui viene al mondo, di quando incontra la morte per la prima volta. Io vorrei che parlassimo soltanto di questo, e che differenziassimo le persone non sulla base di cos’hanno nelle mutande, ma sulla base di come reagiscono al tempo, che mi sembra il nemico peggiore e l’amico migliore di tutti.
Vorrei, caro 2020, che tu mettessi in galera quelli che hanno inventato il cesso scomodo e hanno pensato di venderlo alle aziende, di modo che i datori di lavoro lo acquistassero per diminuire la pausa bagno dei propri dipendenti: se ti siedi su un cesso scomodo, non ti viene in mente di restarci seduto più di quello che ti serve, quindi non sprechi neanche un secondo. Non voglio che sulla terra camminino, in libertà, individui capaci di elaborare pensieri di questo tipo che, per quanto mi riguarda, rasentano il nazismo più di certi pensieri che frullano in testa a certa gente che vive a CasaPound.
Mi piace molto questa cosa che mi sembra stia succedendo al cinema: dilata la narrazione, dilata tutto, e si prende lo schermo e il tempo e lo spazio, e lascia che ritmo, significati, intrichi e intrighi e battute e sceneggiature e colpi di scena siano pane per Netflix, che pensa da nazista e intende fare non so quale sortilegio per contrarre le serie di modo che gli psicopatici che gli vanno appresso possano vederne di più in meno tempo possibile – voi andate pure, serietivuisti, svuotate ancora di più i cinema così ci sto più larga e non sono costretta ad ascoltarvi sgranocchiare popcorn e avere delle opinioni. Mi piace che i film stiano diventando così visivi e visionari e pittorici e lunghi e abbiano cominciato a fottersene di rincorrere la televisione. Odio le serie tv. E anche se per Pinocchio e Tarantino non ho perso la testa non fa niente, do la colpa a tutto quello a cui Netflix mi ha disabituata e giuro di impegnarmi a riabituarmi se tu, caro anno che verrà, farai in modo che sempre più registi eccezionali portino in sala lunghi quadri che si muovono.
A proposito di narrazioni. Ti prego, 2020, modera gli ammalati, ricorda loro che non sono guerrieri, e che nessuno si aspetta da loro che siano capaci di salire sul palco del Live Aid, con il sangue avvelenato dall’Aids, e suonare il concerto più incredibile della storia. Di Freddie Mercury ce n’è stato uno, e io vorrei che ci ricordassimo più spesso di rimpiangerlo e chiederci se stiamo preparando un mondo capace di allevare altri Freddie Mercury – temo di no, io temo che se oggi ne nascesse uno, i genitori lo spedirebbero in cura da uno psicoqualcosa perché sa, dottore, il bambino è esagitato, la prego, lo calmi. A proposito di psicosi, caro 2020, vorrei che ciascun analista della terra seguisse con i propri pazienti la linea guida che Rilke impose al suo psichiatra: «Faccia attenzione ai miei demoni, perché senza di loro non potrei preservare i miei angeli». Ti prego, anno nuovo, fai che l’umanità accetti il conflitto, la goffaggine, il dolore, l’orrore, l’iniquità, e il fatto che certe volte l’amore è un sopruso.
Un’ultima cosa, più personale, e quindi universale. Caro 2020, visto che è il 2020 e quindi al netto di quanto l’evoluzione sia sopravvalutata non possiamo certo dire che l’essere umano non abbia fatto passi avanti, puoi fare sì che salti la regola generale per cui i maschi intelligenti si fidanzano con le cretine? O dobbiamo renderlo, come in effetti dovrebbe essere, un serio tema di dibattito femminista? Perché sai, caro futuro, vivere circondate da maschi che vorrebbero essere Trudeau e invece sono una suocera travestita da psicoterapeuta è diventato insostenibile.
Visto che per sognare bisogna esser megalomani, senti cosa ti propongo: metti in circolo un esercito di Kurt Wagner, quello dei Lambchop che quando ha scoperto che la moglie ascoltava hip hop commerciale non le ha mica detto “amore, calmati, non credi di essere troppo anziana e intelligente per questa robaccia?”, ma – cito dal direttore Christian Rocca – «ha deciso di dare una curvatura elettronica alle sue meravigliose melodie alt-country».
Se ho chiesto tanto, me ne scuso. Rinuncio a tutto per un Conte tris, con Paolo al posto di Giuseppe. It’s wonderful.