C’è chi i dati li usa in modo corretto e socialmente utile, e chi invece ne fa strumenti di trame che, fino a poco tempo fa, sembravano essere materia di letteratura fantascientifica. Questo giornale si batte da tempo nel dimostrare come sulla democrazia digitale i conti non tornino. Tuttavia, non siamo qui per buttar via insieme i famosi acqua sporca e bambino. L’Artificial intelligence non crea solo danni. Del resto un robot, finché è spento, che male può fare?
Di questo ci dà conferma l’ultimo rapporto dell’Ai Now Institute, dove AI sta per Artificial Intelligence appunto, un think tank della New York University, che ogni anno fornisce spunti di riflessione su come il processo di digitalizzazione stia condizionando politica, lavoro, società. Insomma, un po’ tutti noi. In particolare chi quel robot poi lo accende. E se è lucido, lo usa a fin di bene, se invece è affetto da patologie tendenti al controllo delle masse, gli viene anche da proporre l’identità digitale e la password di Stato, senza rendersi nemmeno conto che ha buttato un cerino acceso nel nucleo di un reattore nucleare.
A dispetto delle attese più negative – ormai il mood è pessimismo cosmico e ogni volta che qualcuno ci mostra l’azzurro del cielo e gli uccellini che cinguettano, abbiamo bisogno di una pausa di riflessione per riprenderci dalla bella notizia – il report dice che, fatte le dovute raccomandazioni, dodici per la precisione, sui sistemi intelligenti possiamo ancora contare. In pratica, basta che mondo della ricerca, sistema produttivo e governi si facciano responsabili di quelle tutele e garanzie giuridiche per cui da un lato le Ai possano prosperare e dall’altro un qualsiasi individuo possa viversi la vita come un asceta.
Warning concettuale: l’Ai Now non fornisce la soluzione per la pace nel mondo o la liberazione da tutti i mali. Dice semplicemente che, nonostante preoccupazioni e questioni aperte, l’intelligenza artificiale può andare nella giusta direzione. Del resto, visto che di intelligenza si tratta, qualcosa di buono deve pur esserci. Ma è anche vero che, in questo momento, i rischi sono più evidenti delle opportunità.
Warning metodologico: qui si affrontano temi che provocano ragionamenti iperbolici, scoperte sorprendenti per la loro ovvietà e domande senza risposta.
L’Ai Now dice che, sul fronte assistenza sanitaria, scuola, lotta alle diseguaglianze sociali, giustizia penale, ecologia, i sistemi intelligenti sono la nuova frontiera per la soluzione dei problemi. È con la codificazione dei dati che si può costruire un welfare più efficiente in termini di spesa pubblica e, al tempo stesso, rispondente alla profilazione del singolo cittadino. Percorsi scolastici, formule pensionistiche e assicurative: non è più plausibile immaginarli come finanziamenti a pioggia di una società sempre più diversificata. La profilazione digitale del singolo – carico di competenze, esigenze, ambizioni, ma anche debolezze – permette una rivisitazione dello Stato sociale.
Detto questo, le contraddizioni dell’AI non sfuggono. Il tema del processo telematico nell’ambito della giustizia penale, per esempio, resta un punto dolente per qualsiasi ecosistema nel cui cuore batte forte lo Stato di diritto. Alzi la mano infatti chi, vivendo in una democrazia, dove le regole per avere un senso seguono un iter ben chiaro e soprattutto umano, sarebbe disposto a farsi giudicare da un pc, messo lì come una corte d’assise elettronica, che spedisce a destra o sinistra sommersi o salvati, secondo un ignoto algoritmo. Quale Paese infatti ha adottato il processo penale telematico e nessuno ha detto nulla? Aiutino da casa: la capitale è Pechino.
C’è poi la questione ambientale. I sistemi intelligenti non sono automaticamente anche green. Ovvio, se prendi in mano un cellulare non hai la stessa idea di sporcizia – leggi meglio: delle emissioni di Co2 generate per produrlo – che entrando in un’acciaieria. Un posto qualunque. Però, dietro quella scatoletta che ci fa da prolunga conoscitiva, c’è molta più industria manifatturiera, energia consumata e geopolitica di quanto si possa immaginare.
Per non dire delle asimmetrie che l’AI può creare nel mondo del lavoro. Una fabbrica robotizzata è sostenibile per l’imprenditore. Un po’ meno per il suo staff. Così dice l’analisi luddista. Tuttavia, una fabbrica 4.0 è attrattiva per un lavoratore qualificato. È competitiva se i suoi dipendenti sono responsabilizzati nella gestione dei device intelligenti, implementati per migliorare produttività e prodotto. Qui però emerge un problema di accountability. L’utente-operaio può sentirsi: estromesso, coinvolto, oppure discriminato nel caso i device mettano in pericolo sicurezza, privacy, identità e tutto quello che riguarda diritti e libertà personali.
Messa così, sembra di stare nel Cerchio di Dave Eggers. Dal posto del lavoro – dove i sistemi intelligenti sono un surplus alla crescita, come pure un potenziale occhio indiscreto che controlla H24 i dipendenti – alla vita comune, in cui i social stanno provando a lanciare la palla troppo avanti.
Le app per la codificazione delle emozioni e il riconoscimento facciale infatti, dopo l’euforia iniziale tra gli utenti, sono state sconfessate dalla comunità scientifica e poste al bando in molti Paesi in quanto possibili strumenti di discriminazione razziale e di genere.
Ma è nella politica che si annidano le maggior insidie dell’AI. Perché, mentre la normativa non è ancora arrivata a un dunque, la democrazia sta imboccando un’evoluzione, per alcuni entusiasmante, verso Rousseau e la sua democrazia diretta, per altri nella preoccupante direzione della democrazia virtuale, in cui i pochi professionisti del consenso sono capaci di ipnotizzare gli utenti-elettori, facendo loro credere di essere attori protagonisti delle dinamiche partecipative, quando invece sono stretti nelle maglie di un codice alfanumerico, dal quale è magari anche possibile uscire, ma è inutile, in quanto il web ti ha già asciugato tutto quello che c’era da sapere di te.
Per questo, nonostante l’Ai Now ci faccia pensare al meglio, le grandi domande restano appese. L’Artificial Intelligence è la giusta strada per emancipare l’individuo da paure e risentimenti sedimentati da generazioni? È possibile scardinare grazie ai media quella organizzazione collettiva delle masse che ruota intorno a impulsi ed emotività – per non dire isterismi – che portano anche le società più avanzate a compiere scelte irreversibili? The media is the message. Se è vero quel che diceva Marshall McLuhan mezzo secolo fa, allora la rete deve farsi carico di un processo di sublimazione – iperbole. L’avevo detto! – che nessuna religione, filosofia, o indagine psicanalitica è riuscita portare a termine finora. Se non su singoli casi.
A meno che, come suggerisce l’Ai Now, non si abbia fiducia in chi ci governa. L’Ue chiede all’industria dell’Ai un approccio incentrato sull’uomo. Si attendono maggiori dettagli su una così profonda dichiarazione. A chi fabbrica robot si dice di essere più umani. Non so. Suona come chiedere a chi fa scarpe che le strade siano più pulite. Forse allora è meglio guardare altrove. Per esempio in Usa o Uk, dove al vertice – Casa Bianca o Downing Street, fate voi – c’è della gente che ha un rapporto strano con il mondo digitale, ma dove comunque sopravvive anche un Habeas corpus che permette il varo di alcuni progetti di legge di cui lo stesso Ai Now si è fatto forte promotore. Per esempio il Facial Recognition Technology Warrant Act e il No Biometric Barriers Act del 2019. Ecco, qui siamo un pelo più sul concreto che da noi in Europa.
Vabbé. Nel frattempo, comunico allo Stato italiano che ho cambiato password alla mail, pin al cellulare e codice bancomat. Devo entrare nei dettagli, oppure li scoprite da voi?