La commissione Lavoro del Senato è senza un presidente da più di quattro mesi. Dopo la nomina della Cinque Stelle Nunzia Catalfo a ministra del Lavoro del governo Conte due, Pd e grillini, nell’Italia dei 160 tavoli di crisi, non si sono ancora accordati su un nuovo nome. Anzi, nella lotta fratricida per la spartizione delle poltrone, con i grillini intenzionati a non concedere spazio ai Dem sul fronte lavoro, si preferisce addirittura lasciare la guida della Commissione all’opposizione, nelle mani del vicepresidente leghista William De Vecchis. Di rinvio in rinvio, l’ultima data calendarizzata per la nomina ora è quella del 4 febbraio. Ma già molti membri della Commissione mettono le mani avanti: «Non è detto che sarà la data decisiva».
Nello stesso giorno, si dovrebbero sbloccare pure le nomine dei presidenti delle altre Commissioni rimaste scoperte col nuovo giro di ministri, viceministri e sottosegretari del Conte due. Al Senato, va trovato un presidente anche per la Commissione Sanità, dopo la nomina del grillino Pierpaolo Sileri a viceministro della Salute: anche qui, in assenza di un accordo, a tenere le redini, intanto, è stata lasciata una leghista, la varesina Maria Cristina Cantù. Presidenza rimasta vacante anche alla Commissione Difesa che, dopo la vittoria della leghista Donatella Tesei in Umbria, è guidata dalla facente funzione Daniela Donno, del M5S.
I grillini, dal principio, puntano a ottenere tutte e tre le commissioni. E, almeno su questo, il Pd non sembra cedere, almeno per il momento. Soprattutto sulla Commissione Lavoro. I Dem hanno fatto subito il nome del senatore Tommaso Nannicini, economista, tra i padri del Jobs Act. Italia Viva gioca la carta di Annamaria Parente, ex vicepresidente della Commissione decaduta dopo il passaggio da Pd a Iv, che però più volte si è opposta ai provvedimenti della ministra grillina. Ma i Cinque Stelle, intenzionati ad avere il monopolio sul lavoro in difesa della paternità del reddito di cittadinanza, continuano a mettere i bastoni tra le ruote a nomine di altri schieramenti. Dopo aver occupato il ministero e le poltrone di Inps e Anpal con i propri uomini, Pasquale Tridico e Mimmo Parisi, vorrebbero tenersi pure la Commissione del Senato che fu di Nunzia Catalfo. In pole c’è il nome di Susy Matrisciano, di Pomigliano d’Arco come il capo Luigi Di Maio. Così facendo però, il Pd resterebbe a bocca asciutta sul lavoro. Cosa quantomeno bizzara per un partito di sinistra – soprattutto in un momento in cui viene rispolverato il catechismo della critica al capitalismo senza volto umano – ma anche per i sindacati tornati in piazza.
Oltre agli equilibri sottolissimi tra le diverse anime del governo, vanno considerate anche altre pedine. Perché a metà legislatura andranno rinnovate le presidenze delle commissioni, e sarà l’occasione per levare di mezzo i leghisti rimasti a presiedere ben 11 commissioni tra Camera e Senato pur essendo passati all’opposizione. La commissione Lavoro della Camera è tra quelle guidate ancora da un leghista, Andrea Giaccone, secondo la vecchia logica fifty-fifty dei gialloverdi che con Catalfo si erano presi il Senato. Arrivati a metà legislatura, i grillini potrebbero quindi volere per sé la commissione Lavoro di Montecitorio. Cosa possibile, però, solo se al Senato la spunterà il Pd. Anche perché al ministero del Lavoro, in quota Cinque Stelle, sono stati scelti proprio due senatori, Catalfo e il sottosegretario Stanislao Di Piazza. Se a Palazzo Madama dovesse essere scelto un presidente grillino, la presidenza della Camera spetterebbe poi a un deputato Pd o Iv al momento dei rinnovi. I Cinque Stelle stanno studiando le pedine da muovere, soprattutto quando nella maggioranza si agita lo spettro di una modifica al reddito di cittadinanza.
E lo stesso stallo c’è sulle commissioni speciali sulle banche e sulla sicurezza sul lavoro. Di quella sulle banche, che sembrava una priorità con il crac della Popolare di Bari, non se ne è saputo più niente. Il passo di lato del senatore 5S Elio Lannutti, impresentabile per Pd e Iv, avrebbe dovuto favorire l’accorso per l’elezione del presidente e l’inizio delle attività. Ma anche qui è tutto fermo. Idem per la Commissione d’inchiesta su sicurezza sul lavoro, chiesta a gran voce anche dai sindacati. Ma nel caos della convivenza forzata tra Pd e 5S, dalle commissioni alle Authority fino a provvedimenti centrali come i decreti Salvini, il governo preferisce restare fermo. E a vincere, alla fine, è l’immobilismo.