E se i presidenti fossero due?Intrighi, veleni e alleanze per la conquista di Confindustria (con possibile soluzione disruptive)

Carlo Bonomi, Licia Mattioli e Giuseppe Pasini hanno buone possibilità, ma anche qualche limite. L’ago della bilancia? Si sposterà a seconda di cosa la federazione vuol fare di sé

Meno cinque, meno quattro, meno… La corsa alla presidenza di Confindustria si sfoltisce di candidati. Questo però non rende più chiare le previsioni. Dopo il ritiro di Andrea Illy, la scorsa settimana, altrettanto sta facendo Emanuele Orsini. Il numero uno di FederLegnoArredo preferisce saltare un giro, prepararsi e arrivare, tra quatto anni, con carte migliori da giocare. Ammesso che nel 2024 Confindustria sarà quella che è oggi. Perché, così come non ci si può ancora sbilanciare su chi succederà a Vincenzo Boccia, altrettanto non si può fare sui destini dell’associazione di categoria più influente del paese.

Già, ma ora che Orsini si sfila e porta in dote i suoi voti a Giuseppe Pasini, chi ha davvero maggiori chance di vincere? Ci permettiamo il lusso di sospendere il giudizio. Fra i tre rimasti in gioco infatti, tutti hanno delle buone carte, come anche delle forti criticità. Per questo evitiamo di esporci e mettere in una busta in chiusa il nome per scoprire, tra un paio di mesi, se c’abbiamo azzeccato. Quando le probabilità sono al 33% per ciascuno, è meglio non scommettere.

Il presidente degli industriali bresciani Giuseppe Pasini è quel che ci vuole per un’Italia che ha bisogno di industria. Sono gli uomini del fare che hanno permesso a questo paese di entrare nel G7, che hanno scritto la storia del made in Italy. Pasini però non ha voti sufficienti per vincere. Nonostante sia stato il primo a candidarsi, a inizio ottobre scorso, non ha fatto il necessario giro delle chiese, non è stato così presenzialista come invece hanno fatto altri candidati. Pasini, inoltre, non ha un programma di presidenza: si è affidato a un’agenzia di eccellenza della comunicazione istituzionale. Il discorso può filare benissimo, se però non hai i contenuti, convincere l’elettorato e vincere non è facile. E comunque quale imprenditore, con un impegno del genere, non si metterebbe nelle mani di uno bravo?

E allora che lo scettro passi a Carlo Bonomi. Cremasco trapiantato a Milano, espressione dell’Italia che lavora, conosciuto da tutti, televisivo, telegenico, teletutto. Pure troppo. Quanto conviene infatti al presidente di Assolombarda vincere da solo? Lui può farlo, è vero. La territoriale più spallata nel sistema Confindustria non ha bisogno di gregari. Ma a chi giova un one man show? Questa non è una partita di tennis, ma una gara di ciclismo. Vince uno e con lui tutta una squadra. Anzi, per assurdo, a chi taglia il traguardo torna comodo condividere il trofeo pure con gli sconfitti. Perché c’è da risollevare le sorti dell’associazione, non semplicemente da conquistarla. E comunque che l’amore per Bonomi sia spalmato sull’intero territorio nazionale è tutto da dimostrare. Prova ne è la letterina di Luigi Bisignani uscita domenica sul Tempo. Palle incatenate contro Bonomi, Boccia e compagnia cantante. Forse un segnale che la Confindustria capitolina sta alzando le barriere per respingere l’arrivo dei longobardi. Sembra, addirittura, che all’interno dello stesso fortino, in viale Astronomia, siano in corso manovre di riposizionamento dei più alti gradi operativi, affinché lo Stato maggiore non subisca perdite nel malaugurato caso di vittoria di un Commander in Chief poco apprezzato dal management interno.

Certo, se a vincere fosse la terza candidata, Licia Mattioli, tutto sarebbe più semplice. Arriva una donna, viene dal nord, che ha già il sostegno delle imprese del sud – è nell’eredità di Boccia – con una piccola azienda d’accordo, ma con un’esperienza in campo internazionale di lungo corso e che sa come si gestisce l’associazione. Un passaggio di gestione indolore, insomma. Però l’operazione Gattopardo forse non è ben vista nemmeno da chi, fino a poco tempo, avrebbe potuto suggellarla. Emma Marcegaglia, infatti, quanta voglia ha di non essere più la sola presidente donna di Confindustria?

Nomi a parte, le incognite sono territoriali. L’Emilia Romagna è spaccata tra Bonomi e Pasini. Scherzi della vita: questa regione ancora non ha smesso di essere la chiave di volta del futuro del Paese. C’è poi il Veneto, dove da sempre non si riesce a fare una previsione. Forse Andrea Illy avrebbe potuto serrarne le fila, ma la famiglia gli ha imposto di fermarsi. Quindi la sua candidatura, oltre che essere bruciata, non ha indirizzato voti a nessuno dei competitor rimasti in gara.

Detto tutto questo, resta da chiarire quale strada intenda prendere Confindustria con il nuovo presidente. Stiamo parlando di un potere forte che ha bisogno di un restyling che vada oltre l’operazione di maquillage. Una ristrutturazione interna, in fatto di organizzazione, servizi all’associazione, potere di influenza dinnanzi ai suoi stakeholder. Insomma, serve una narrazione del tutto nuova, che attribuisca all’aquilotto una credibilità affievolita agli occhi della business community e uno standing altrettanto evanescente in questa epoca di disintermediazione, in cui i gruppi di interesse o cambiano o cambiano.

A questo proposito c’è chi ha progetti davvero disruptive. Visto che l’aquilotto deve rifarsi il piumaggio, perché non ripartire da zero? L’idea sarebbe di mettere Pasini a fare da presidente e Bonomi come una specie di amministratore delegato. In pratica, un tandem inventato ex novo, in cui il primo andrebbe a mettere i muscoli da imprenditore manifatturiero duro e puro, il secondo la cultura manageriale che serve per queste operazioni così strutturali. Un’ipotesi che ha un senso in teoria, ma è ancora tutta da vagliare. Non fosse per il fatto che se Bonomi ha le carte per vincere da solo, perché mai dovrebbe dividere il palazzo reale con il suo diretto competitor?

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