La generazione più sfortunata del dopoguerraL’Italia è il paese dove vincono i pensionati e perdono le famiglie giovani con figli

I trentenni e i quarantenni con prole sono quelli che dipendono maggiormente dagli assegni Inps dei familiari più anziani (che invece hanno visto i propri ricavi lievitare). E anche quelli con più probabilità di essere disoccupati. Perché dalla crisi non siamo mai davvero usciti

Photo by Sandy Millar on Unsplash

Questo grafico, pubblicato dall’Istat nell’ultimo report sulle condizioni di vita dei pensionati, è girato recentemente sui media e sui social. Non succede di frequente. Spesso i grafici dell’Istat rimangono confinati agli addetti ai lavori, ma questo in particolare dipinge in modo evidente e comprensibile a tutti la realtà di un Paese in cui, negli ultimi vent’anni, gli unici vincitori sono stati i pensionati. I quali hanno messo a segno una crescita media delle proprie entrate del 70%, esattamente il doppio dell’aumento delle retribuzioni dei lavoratori. Con una forbice che si è allargata proprio nell’ultimo decennio.

È stato sottolineato come moltissime famiglie dipendano dagli assegni dei pensionati che ne fanno parte. Nello specifico, nel 52,2% dei nuclei in cui sono presenti sia pensionati sia altri membri, più del 50% del reddito deriva dai primi.

Questo succede persino nel 38,4% delle famiglie in cui pure il membro non pensionato un reddito da lavoro lo possiede. Con tutta probabilità, si tratta di un salario inferiore alla pensione del genitore/partner con cui vive.

Ma forse il dato più rilevante è quello che ci dice come a dipendere per oltre il 50% dalle pensioni dei familiari, sono anche molte di quelle famiglie qualificabili come “coppie con figli”, il 44% per l’esattezza. Si tratta evidentemente di figli grandi in questo caso, che dovrebbero avere un reddito da lavoro, e che eppure continuano a dipendere dai propri genitori.

È anche un dato che indica simmetricamente come, se i vincitori degli ultimi anni sono stati i pensionati, i perdenti sono stati i giovani e i giovanissimi. E i bambini in particolar modo.

Altri dati dell’Ocse infatti, evidenziano una realtà a tinte fosche. Negli stessi anni in cui i redditi pensionistici continuavano a crescere, nonostante la crisi, la quota di bambini (0-14 anni) con i genitori entrambi disoccupati o comunque inattivi è quasi raddoppiata. In particolare, dal 5,5% del 2006 si è passati al 10,5% del 2014 e 2015.

Nel 2018, invece, si è scesi di poco, all’8,9%.

Ma c’è un fatto singolare: già da un paio d’anni l’occupazione, pur essendo cresciuta molto, superando anche i picchi degli anni 2000, ha toccato nuovi record. Eppure questi risultati non sembrano valere per chi ha figli sotto i 15 anni. In questo caso, i numeri delle famiglie con prole ma senza lavoro rimangono ancora sensibilmente più bassi, non solo rispetto al periodo precedente alla crisi, ma anche rispetto ai primi anni di recessione.

Evidentemente, la crescita occupazionale ha beneficiato solo chi non ha prole, o chi è in là negli anni e ha figli ormai adulti.

E così, nel 2018 ci siamo classificati tra i Paesi con meno famiglie con bambini in cui entrambi i genitori fossero occupati.

Se in Svezia, Danimarca, Paesi Bassi, ma persino in Slovenia e Portogallo, è normale che madri e padri lavorino (in questi Paesi ciò accade infatti in oltre il 70% dei nuclei familiari), in Italia questo si verifica solo in una minoranza dei nuclei, il 49%. In compagnia di Polonia e Bulgaria, facciamo peggio persino di Grecia e Romania, mentre Spagna, Francia e Germania ci superano di gran lunga.

E mentre negli anni la ripresa in Europa si traduceva in un miglioramento netto dell’occupazione – e quindi del reddito delle condizioni delle famiglie in cui vivono dei minori – questo in Italia non è accaduto.

Basti guardare a Spagna e Grecia: nel 2013, alla fine della crisi, in entrambi questi Paesi la percentuale di famiglie con entrambi i genitori al lavoro era inferiore a quella italiana: appena il 40,8% in Grecia e il 45,3% in Spagna, cui faceva contro il 46,3% in Italia.

Tempo qualche anno, nel 2018 in Spagna si è raggiunta quota 58,6%, un miglioramento imponente. Persino in Grecia si è cresciuti al 49,9%, quasi un punto sopra di noi.

Quelli nelle condizioni peggiori in assoluto sono i bambini che vivono solo con un genitore: ben il 29% di essi vive con un padre o una madre senza lavoro.

È una percentuale che è migliorata pochissimo rispetto al picco (negativo) del 30,8% del 2015, ed è comunque decisamente più alta del 21,8% del 2004 o del 23,3% del 2006.

Andrebbe peraltro ricordato come questa tipologia di famiglia, quella monogenitoriale, sia divenuta più diffusa. Ad oggi costituisce infatti il 14,7% dei nuclei (negli anni 2000 si fermava intorno al 10%).

Sostanzialmente, quindi, i dati ci dicono che, a fronte di pensionati sempre più benestanti (perlomeno relativamente al resto della popolazione), abbiamo invece bambini che partono da una situazione di svantaggio superiore a quella dei propri coetanei di dieci o vent’anni fa.

Scontano il fatto di essere figli della generazione più sfortunata dal Dopoguerra in poi, quella dei 30-40enni di oggi, che a loro volta pagano scelte politiche infelici, che salvo pochi intervalli hanno mirato, negli ultimi decenni, a favorire la fascia più organizzata e ampia di elettori, quella degli over 50.

E questo accade malgrado (non è un caso) oggi ci siano nel nostro Paese molti meno bambini rispetto al passato, proprio perché molti 30-40enni hanno rinunciato proprio a farne, di figli.

La soluzione oggi sembra solo una: avere il nonno o la nonna in casa, che possa allungare un po’ della propria pensione a figli e nipoti sfortunati. Almeno finché questi figli e nipoti non diventeranno nonni a loro volta. Il problema è che, per allora, probabilmente i soldi (pubblici e non) saranno finiti.

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