Alla fine è un referendum su Matteo Salvini. Proprio quello che Stefano Bonaccini non voleva. Il governatore uscente e forse rientrante dell’Emilia-Romagna ha impostato tutto sul buongoverno della sua regione, ha messo in guardia fin dall’inizio a non “nazionalizzare” il voto di domenica, e per questo ha tenuto abbastanza lontani capi e capetti del Pd “romano”. Ma la cavalcata di Salvini culminata con la citofonata a un cittadino per chiedere se spacci è stata travolgente: e fin qui ci sta. Quello che era imprevisto era che la formazione del movimento di massa dalle caratteristiche ancora tutte da esplorare come le Sardine fornissero un enorme, decisivo, contributo a fare del 26 gennaio un referendum su Salvini. Iper-nazionalizzando la scadenza regionale, si può dire che Mattia Santori e i suoi giovani amici abbiano lavorato per il Re di Prussia.
D’altronde proprio Santori in un’intervista al Resto del Carlino ha detto chiaramente quale sia la posta in gioco: «O noi o Salvini». E la stessa dinamica propagandistica delle ultime ore, con le Sardine che marcano il territorio battuto dal caporione leghista (l’altro giorno a Bibbiano, oggi al Papeete), testimonia plasticamente che i duellanti sono proprio Mattia e Matteo. Piccolo particolare: le Sardine non si presentano. Qui sta la deformazione del senso della consultazione elettorale, nessuno dei due è in lizza ma la sfida è tra loro. Questo messaggio, semplice e non astratto, è probabilmente entrato nella testa della gente, facendo scomparire la vacuità della candidata Borgonzoni e invalidando la carta vincente del centrosinistra, il buongoverno.
Naturalmente, come dicono i sostenitori del Pd, è ben possibile che in ogni caso l’effetto della scesa in campo del movimento di massa delle Sardine sia alla fine positivo, e cioè che il loro richiamo a non stare a casa dinanzi al pericolo leghista faccia premio su tutto. Questo lo verificheremo solo domenica alle 23,01. Però resta il fatto che mentre Bonaccini si sbraccia in lungo e in largo per rivendicare i successi del suo governo, gli elettori pensano ad altro. Se essere a favore di un change di destra o per la resistenza (lo stavamo per scrivere con la ‘r’ maiuscola) al sovranismo di via Bellerio.
Poteva andare diversamente? Poteva reggere lo schema di Bonaccini, tutto imperniato sulle cose ma (non per colpa sua) senza sogni? Poteva caricarsi lui il compito gigantesco di restituire fascino alla proposta della sinistra di governo? La risposta è scontata: no. La speranza del Pd è che per un’incredibile mistura il realismo bonacciniano si venga a saldare con la protesta sardiniana. Ma siamo sempre nella logica del referendum nazionale su Salvini, dunque in una logica contro e perciò subalterna.
Tutto questo non potrà non avere un riverbero generale sulla situazione politica. Se il voto emiliano ha acquisito, come ha acquisito, una configurazione di tipo referendario su Salvini, è difficile poi sostenere che a Roma non succederà niente. Per come si sono messe le cose, se il “Capitano” perde il referendum si dovrà nascondere per un po’ – e se non la farà lui ci penseranno amici e alleati a farglielo capire; se lo vince segnerà un punto di enorme novità nel quadro politico. Con quali conseguenze concrete si capirà già dalla settimana prossima.