Chi l’avrebbe detto. Nell’ultimo album di Eminem, Music to Be Murdered By, uscito a sorpresa il 17 gennaio 2020, c’è l’alter-ego Slim Shady che chiede scusa. Lo fa – udite udite – in un brano trap, vergognandosi per gli insulti lanciati contro Tyler, the Creator e Earl Sweatshirt nel disco precedente, Kamikaze. Chi ricorda il carattere aggressivo del personaggio, più o meno 20 anni fa, non lo avrebbe potuto mai immaginare («Una probabilità pari a quella di vedere Eminem scrivere un disco di ballate romantiche o essere nominato ministro dell’Interno», scrive Alexis Petridis sul Guardian).
Ci sono anche altre cose interessanti. Il featuring di Ed Sheeran, per esempio, che tiene in piedi con i suoi vocalizzi il ritornello di Those Kinda Nights, pezzo nostalgico delle serate matte di una volta. O il richiamo dark a Alfred Hitchcock: è nel titolo, che riprende pari pari quello dell’album del regista del 1958, è nella cover, ed è anche nell’atmosfera violenta e oscura che pervade (quasi) tutte le canzoni. C’è, soprattutto, il nuovo posto del mondo che Eminem cerca per se stesso. Operazione complicata, visto che a tratti finisce per indossare le vesti del vecchio brontolone, quello che se la prende con le nuove generazioni. I nuovi rapper, canta in You Gon’ Learn, “can’t even figure out where their words should hit the kick and the snare [drum], cioè non sanno nemmeno seguire il ritmo delle barre (nel dirlo li prende in giro imitandoli, balbettando e perdendo il tempo). Erano meglio i vecchi tempi – ricorda in Premonition, l’inizio – “Once I was played in rotation at every radio station”, e adesso, anziché ricevere complimenti per la sua “longevità e per la sua capacità di continuare così a lungo a questo livello”, si ritrova gente (tra cui i giornalisti) che gli dice che “we’ll never be what we were”.
Il problema è che è la verità. Eminem, lo dimostra il disco, nel tempo ha guadagnato in abilità tecnica, i suoi schemi di rime e richiami sono sempre più complessi, i giochi di parole si sovrappongono a improvvisi cambi di ritmo. Ma ha perso in lucidità e visione. Nelle 20 canzoni – a volte vere e proprie maratone di parole, fino al virtuosismo di Godzilla – c’è tutto e il suo contrario. Nell’album assume il ruolo dell’aggressore e della vittima, del provocatore e del moralista, dell’amante che tradisce, e di quello che rimugina sulle storie finite male. In Stepdad è un bambino che uccide a mazzate il patrigno violento. In Marsh, la traccia successiva, minaccia di fare ai suoi detrattori quello che fa un “patrigno al figliastro con i capelli rossi”. Confuso.
Lo è anche nei momenti più delicati e dell’album: in Darkness racconta la storia della strage di Las Vegas del 2017 dal punto di vista di Stephen Paddock, l’uomo che sparò dalla finestra uccidendo 58 persone. È uno dei brani più importanti: intercalando alle strofe una campionatura del primo verso di The Sound of Silence di Simon 6 Garfunkel (“Hello darkness my old friend”) racconta il crescendo del delirio schizofrenico dell’uomo, annotando i dettagli dei minuti che precedono la strage, come la paura che ci sia poca gente al concerto, e la considerazione che ormai le sparatorie di massa sono così frequenti che la sua fama rischia di essere transitoria. Un capolavoro di delicatezza, in un tema controverso.
Eppure poco prima, in Unaccomodating, riesce a cantare che “I’m contemplating yelling ‘bombs away’ on the game / Like I’m outside of an Ariana Grande concert waiting” (“Vorrei gridare [ai rapper] ‘occhio alle bombe!’ come se fossi una delle persone fuori dal concerto di Ariana Grande”). Il riferimento all’attentato terroristico islamico di Manchester del 2017 ha già provocato polemiche, fatto infuriare il sindaco della città inglese e scandalizzato molti dei fan per la leggerezza della battuta, il contesto forzato e l’incoerenza di fondo. Il sospetto (meglio: la certezza) è che la gag sia stata messa proprio per questo: non c’è nessun miglior veicolo pubblicitario, in generale e nel caso di Eminem in particolare, delle contestazioni. La sua immagine di maledetto, il suo franchise, deve essere salvaguardato.
Discutibile, insomma, ma parte del gioco. Meno chiaro però è il senso del gioco, quello più grande, che riguarda tutto l’album: dove vuole andare a parare? Dentro c’è tutto: vecchie atmosfere (Will è quasi una capsula del tempo degli anni ’90), ma anche trap. Antichi drammi di bambino in difficoltà e laudationes della passata scena musicale. Una confusione tenuta nascosta dalla grandezza dello stile, ma che c’è. Del resto per un artista di quasi 48 anni, con una ricchezza che si aggira intorno ai 230 milioni di dollari, è difficile mantenere la rabbia della gioventù, o lo smalto delle prime provocazioni. Restano solo le incertezze e la paura di venire scalzato dai giovani. È una crisi di mezza età, insomma, e chi l’avrebbe mai detto? ha pigliato anche lui.