Per lettori cool“Facility”, la rivista che rompe l’ultimo tabù e racconta cosa si fa nei gabinetti

Il nuovo magazine affronta, in modo sofisticato, un tema poco battuto ma importante. E per certi versi, interessantissimo. Con approccio antropologico, si pone come una guida per alieni senza intestini, analizzando il nostro rapporto con la toilette, sia pubblica che privata

Mike Coppola / GETTY IMAGES NORTH AMERICA / AFP

Perché non si parla di più di bagni e gabinetti? È forse l’ultimo dei tabù, l’argomento, secondo etimologia, osceno per eccellenza. Che, con un certo brio, viene infranto da un nuovo magazine americano: Facility. Secondo la descrizione di Slate, non è solo una rivista sui bagni, ma, con la sua copertina «bianca e grigia», assomiglia esso stesso a un bagno. Non è online, è ricco di spunti interessanti, e si basa su una premessa di fondo importante: parlare di bagni significa parlare della società. Non si scappa.

Allora, visto l’argomento scabroso, ci vuole (e c’è, a quanto pare) una certa intelligenza, e anche un po’ di coraggio, nell’affrontare la materia da un punto di vista originale e interessante. È il senso del manifesto del primo numero: «La toilette pubblica è un microcosmo della cultura in generale». E come impostazione appare convincente. Anche perché lo sguardo abbraccia tutto ciò che avviene nel bagno, dalle operazioni di toeletta fino alle medicamentazioni.

Il primo numero (il secondo, dice la direttrice Erin Sheehy, dovrebbe arrivare in primavera) non si fa mancare nulla. C’è un sondaggio sulle routine mattutine, che indaga le alternative alla doccia quando non si ha tempo per farla. E poi un approfondimento sulla glicerina, ingrediente fondamentale delle creme idratanti. Non manca attenzione per le pillole che si tengono in bagno e riflessioni sulle differenze di comportamento tra bagno pubblico e bagno privato. Un discorso psico-antropologico, in buona sostanza, che si gioca su spazi diversi sui quali gravitano convenzioni differenti.

Tra le analisi di tipo politico, invece, ci sono estratti di un altro progetto, The Capitalist Bathroom Experience, che considera la questione dal punto di vista della lotta di classe. Ci fu un tempo, fanno notare, in cui gli operai dovettero combattere, tra le altre cose, per il diritto di andare in bagno. E un altro in cui le donne, per poter usare i bagni pubblici, dovevano pagare (gli uomini no).

Insomma, Facility si candida a diventare il magazine dei gabinetti uniti d’America. Nella sua stessa natura cartacea, sottolinea Slate, è racchiusa la destinazione d’uso: lettura da bagno, appunto,che sarebbe meno godibile se avvenisse da uno schermo di smartphone. E, vista la pervasività degli algoritmi, anche più insidiosa: tra le pagine affiorano contenuti più confacenti al luogo e alla funzione primaria che svolge. Campeggia una intervista a un idraulico sui vari, indicibili, incidenti del mestiere, seguita da un excursus storico sulle abitudini di Enrico VIII, che usava, in quei momenti, panni di velluto. E poi poesie sul tema – o meglio, sulle marginali conseguenze del tema.

Se però l’approccio antropologico aiuta a mantenere alto il tono del discorso, sempre in equilibrio tra la lettura intellettuale e la realtà concreta (e organica), quasi fosse un «corso per alieni senza intestini, un modo per comunicare loro cosa significano quelle stanze nei nostri uffici e nelle case e come si inseriscono nel nostro tessuto sociale», una delle sezioni più utili, in caso di necessità (quella), è la lista di bagni e toilette nascosti della città di New York, con tanto di indicazioni stradali e codici di ingresso. YOU HAVE A RIGHT TO THE CITY questo è il titolo della pagina, mentre FREE THE CODES è la parte, pubblicata anche online, con cui si può contribuire segnalando bagni e codici relativi. Perché tutti hanno il diritto alla libertà. E prima ancora, a liberarsi.

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