Nei prossimi cinque anni l’Italia rischia di rimanere l’ultimo paese dell’Unione europea per crescita. Senza riforme strutturali il debito pubblico supererà il 135% del prodotto interno lordo appesantita dalla spesa pensionistica, e il Paese non uscirà dalla stagnazione. Lo dicono gli ispettori del Fondo Monetario Internazionale che anche quest’anno hanno analizzato i conti italiani e i provvedimenti del governo, dando in un breve report suggerimenti basilari per far crescere un’economia: aumentare la concorrenza, diminuire la spesa pubblica, evitare gli sprechi. E come ogni anno il governo farà finta di niente evitando di fare quelle riforme strutturali che potrebbero far male nel breve periodo, ma darebbero benefici nel lungo. Il solito adagio dei politici che guardano alle prossime elezioni invece che alle prossime generazioni.
Eppure il governo giallorosso alla caccia di un’identità per governare senza patemi da qui al 2023 potrebbe sfruttare questa occasione: essere l’esecutivo del cambiamento, quello vero. Dare la medicina che serve al Paese per far ripartire l’economia senza paura di non essere rieletto. Ed evitare che il centrodestra sovranista faccia troppi danni quando arriverà al governo. In fondo il Movimento Cinque Stelle è ai minimi storici e avrà bisogno di una legislatura di opposizione per rifondarsi, se ci arriverà. Mentre nel 2023 il Partito democratico avrà governato per nove anni su dieci. Un tempo troppo lungo per poter sperare di ritornare al governo.
Tranquilli, non succederà, perché a leggere i giornali italiani sembra che il Fmi abbia “promosso” il governo giallorosso che si accontenterà di andare un po’ meglio di quello gialloverde. Certo, secondo gli ispettori del Fondo «l’attuazione della politica fiscale nel 2019 è stata migliore del previsto», la fiducia sui mercati è migliorata e il dialogo con la Commissione europea ha contribuito a ridurre ai minimi storici i titoli di Stato venduti ai nostri creditori italiani e internazionali. Le condizioni favorevoli non bastano: la crescita nel 2020 sarà solo dello 0,5% e nei prossimi anni oscillerà tra il +0,6 e + 0,7%. La colpa è anche delle due misure bandiera che secondo Lega e M5S per “l’effetto moltiplicatore” (termine abusato dai politici ma mai capito veramente) avrebbero dovuto far aumentare il Pil del +1.5%. Secondo il Fmi, quota 100 «ha aumentato ulteriormente le spese e creato una discontinuità nell’età pensionabile» e anche il reddito di cittadinanza va ripensato completamente perché pur aiutando i più deboli, «i benefici sono ben al di sopra dei parametri di riferimento internazionali e diminuiscono troppo rapidamente a seconda delle dimensioni della famiglia, penalizzando i nuclei più numerosi e poveri».
Per il Reddito di cittadinanza e quota 100 il governo Conte 1 aveva stanziato 38 miliardi nel triennio 2019-2021, ma il loro impatto è stato minimo e dannoso. Il governo Conte 2 ha limitato i danni, ma troppo poco per togliere l’Italia dall’ultimo posto nella classifica di crescita dei Paesi Ue. Basta uno starnuto geopolitico per indebolire ancora di più la nostra economia. Uno shock economico o l’aumento della tensione commerciale che freni gli scambi con i nostri partner potrebbe far crescere rapidamente il debito pubblico fino a farlo diventare ingestibile. E la politica accomodante della BCE non durerà per sempre. Non solo, il reddito medio pro capite è 7 punti percentuali sotto i livelli pre crisi economica del 2007. L’occupazione è a livelli record ma la disoccupazione rimane al 9,7%. Peggio di noi solo Spagna e Grecia, mentre nell’Eurozona è stabile a 6,3%, il record dal gennaio 2000. Per non parlare della forza lavoro femminile, la più bassa dell’Unione. Anche il reddito di cittadinanza e quota 100 sono misure
Prima che un’ondata sovranista ci travolga accusandoci di essere pagati da Soros, il gruppo Bildelberg e i poteri forti ecco alcuni consigli per invertire il trend. Il Fondo monetario propone di tagliare il cuneo fiscale in modo più coraggioso, visto che in Italia è al 48%, sei punti sopra la media europea. Invece del timido 0,2-0,3% del Pil previsti per il biennio 2020-2021, il governo dovrebbe essere più ambizioso e pensare a un taglio della tassazione in busta paga pari al 2% del prodotto interno lordo. In fondo l’abbattimento del cuneo fiscale non era la bandiera del governo giallorosso?
Secondo il Fondo le prime due cosa da fare dovrebbero essere: liberalizzare i mercati e decentralizzare la contrattazione salariale. In dieci anni potrebbero aumentare il reddito di circa sette punti percentuali del Pil. Bisognerebbe anche liberalizzare le tariffe energetiche e sfoltire le leggi che limitano la concorrenza dei servizi professionali, la vendita al dettaglio e i servizi locali. Un mini shock, certo, ma ci sarebbero due effetti positivi: da una parte agevolerebbe l’ingresso nel mercato in settori che hanno margini di profitto elevati, dall’altro eliminerebbe le barriere all’uscita per le imprese con bassa produttività. Ovvero i due principali ostacoli per la crescita delle imprese.
In Italia i salari sono troppo alti rispetto alla produttività. Riallinearli in base all’economia reale incoraggerebbe gli investimenti e la creazione di posti di lavoro. Un tema spinoso e non in tutte le economie sempre valido. Modernizzare la contrattazione salariale non vuol dire per forza peggiorare la vita dei lavoratori. Per il Fmi si può prendere in considerazione l’idea di un salario minimo obbligatorio tenendo conto dei diversi livelli di produttività e dei costi della vita tra le regioni, e «riduzioni ben progettate del cuneo fiscale per i dipendenti secondari, con una maggiore offerta di servizi di assistenza all’infanzia e agli anziani, potrebbero aumentare la partecipazione della forza lavoro femminile e ridurre le disparità di genere».
Il Fmi suggerisce anche di razionalizzazione le procedure civili evitando di ingolfare le aule di tribunale con procedimenti inutili, togliere incertezze sul codice degli appalti, razionalizzare le imprese statali locali. Ma anche distribuire meglio le detrazioni fiscali per quanto riguarda l’imposta sul reddito delle persone fisiche, in particolare quelli che non sono ben mirati o disincentivano l’offerta di lavoro. La lista è lunga, dura, impopolare. Forse una provocazione per il governo rimasto impantanato per mesi nella riforma della giustizia, indeciso su cosa fare delle concessioni autostradali e che discute ogni giorno se allearsi o meno alle prossime elezioni invece di governare.