Il processo a Trump si avvia alla sua conclusione
Giovedì in tarda serata il Senato ha esaurito i due giorni – sedici ore in totale – di tempo a disposizione dei senatori per fare domande agli house manager, ovvero i procuratori generali, e al team di avvocati che difendono Donald Trump. Per due giorni infatti i senatori hanno potuto fare domande per iscritto all’accusa e alla difesa, domande che venivano lette ad alta voce dal giudice della corte suprema John Roberts, presidente della seduta. Venerdì il Senato in seduta generale vota la possibilità di chiamare nuovi testimoni, tra cui l’ex consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton. Per passare la mozione “sì ai testimoni” serve la maggioranza, ovvero 51 voti. I democratici – che sono 47 – hanno quindi bisogno di quattro voti dei repubblicani. A meno di colpi di scena dell’ultimo minuto, questi quattro voti non ci sono. Se il Senato venerdì vota il no alla possibilità di chiamare nuovi testimoni, poi può anche decidere di votare subito, a seguire, su Donald Trump. Il suo processo di impeachment potrebbe terminare venerdì a notte tarda con una assoluzione votata con 47 no democratici e 53 sì repubblicani.
La battaglia sui testimoni
Giovedì, come anche il giorno prima, durante il tempo dedicato alle domande si è consumata la lotta sulla questione dei testimoni. In particolare John Bolton, l’ex consigliere per la sicurezza nazionale il cui libro in uscita a marzo pare contenga rivelazioni scottanti, la pistola fumante dell’Ucrainagate: Trump durante una riunione ad agosto avrebbe detto che lo sblocco degli aiuti militari all’Ucraina era in vigore fino a quando gli ufficiali ucraini avessero annunciato un’indagine su Joe Biden e suo figlio Hunter Biden. I pubblici procuratori hanno combattuto fino all’ultimo per convincere i senatori a chiamare Bolton a testimoniare. Le ragioni dei difensori di Trump sono state tutte tecniche: i pubblici procuratori avrebbero dovuto presentarsi in Senato dopo aver sentito tutti i testimoni e se i testimoni -come Bolton e altri – non si sono presentati, avrebbero dovuto portare la questione davanti a una corte costituzionale. Altri momenti di aspro scontro ci sono stati sul ruolo del giudice Roberts – i democratici volevano che fosse lui a decidere sui testimoni, i repubblicani no – e sulle interpretazioni della Costituzione.
L’argomentazione shock di Alan Dershowitz
Il momento più sorprendente della due giorni di domande è stato quando mercoledì Alan Dershowitz, avvocato star di Trump, ha sostenuto, senza la minima ironia, che chiedere a una potenza straniera di interferire con le elezioni in proprio favore non è materia di impeachment, perché per il presidente la propria rielezione è nell’interesse pubblico. Queste le sue parole: «Se il presidente fa qualcosa che crede lo aiuterà a essere eletto, nell’interesse pubblico, questo non può essere il tipo di quid pro quo che si traduce in impeachment». Giovedì Dershowitz non era in aula insieme ai suoi colleghi: c’è il sospetto che sia stato allontanato per evitare che facesse più danni.