Zitta zitta, senza gloriarsene granché, l’Italia sembra sulla strada di diventare un Paese pacifista.
Secondo i documenti della NATO, rispetto al 2012, periodo di crisi economica, la spesa italiana per la difesa è scesa più di quanto abbia fatto altrove. Più precisamente del 4,09%. Che è più dell’1,28% di calo medio della NATO, e soprattutto è ad anni luce dal +15,81% degli altri membri europei dell’Alleanza Atlantica.
Ma non si tratta di convincimenti pacifisti, piuttosto di un classico caso in cui si fa “di necessità virtù”. E qui la necessità è di racimolare risparmi nei disastrati conti pubblici. Che hanno portato a tagli feroci nel periodo 2012-2015, e ad aumenti nel 2016 e negli anni successivi, i quali però non sono stati tali da far ritornare ai livelli del 2012.
A fare un confronto con i Paesi più importanti della NATO emerge come solo negli USA le forbici siano state usate in modo più netto, soprattutto sotto l’Amministrazione Obama.
E tuttavia gli USA rimangono di gran lunga il Paese con la spesa militare più alta, 643 miliardi. I cinesi, secondi, arrivano solo a 168, e tutti gli altri membri dell’Alleanza Atlantica insieme a 264.
L’Italia è tredicesima, con circa 25 miliardi, nonostante a livello di PIL sia in realtà ottava. Veniamo superati da brasiliani e australiani, tanto per dire.
Mentre, sempre senza fare rumore, altri Paesi hanno in pochi anni incrementato le risorse per la difesa. Persino la Germania, il Paese che pure, ormai da 75 anni, è così riluttante a esercitare una sua egemonia nel Continente, ha accresciuto la spesa militare del 15,8% in 7 anni.
E ancora di più hanno fatto altri Paesi dell’Est, come la Lituania, che l’ha più che triplicata, insieme alla Lettonia, alla Romania, ecc. I timori nei confronti della Russia, uniti alla crescita economica, sortiscono i propri effetti.
Tra i Paesi che hanno incrementato la spesa c’è anche la Turchia di Erdogan, che nello stesso periodo è arrivata a +59,4%.
Oggi in Italia si spendono ogni anno per la difesa 385 euro per abitante, 17 in meno che nel 2012. Poco più che in Lituania e meno che in Estonia, due Paesi che pure sono molto più poveri del nostro, a livello di PIL pro-capite.
È vero che parliamo di Paesi, quelli dell’Est, che nel periodo in cui noi ci arrabattavamo con la crisi ed i suoi postumi, mettevano spesso a segno crescite del PIL da boom, ma ve ne sono anche stati altri che hanno sofferto la recessione come o peggio di noi. Si tratta dei soliti: Spagna, Grecia, Portogallo. Eppure anche questi hanno seppur marginalmente fatto meglio di noi, in termini di incremento della spesa.
Questi dati probabilmente faranno felici molti pacifisti. Il punto è che la pace si costruisce anche e soprattutto su equilibri internazionali stabili e non diseguali.
Con il disimpegno strisciante degli americani, evidente sia dal calo della spesa militare e dal ritiro dalla Siria, sia dal loro limitarsi ad azioni di intelligence, con l’aumento di importanza di Russia e Turchia, che giocano su tavoli che prima non toccavano, come la Libia, lo scacchiere diventa più affollato e imprevedibile, con tanti pesi medi e piccoli, che cercano di emergere.
All’Italia forse poteva convenire di rimanere un nano militare fintantoché l’ombrello americano è stato ampio e forte, incontrastato nel Mediterraneo. Ma in un contesto simile il disimpegno nostro finisce solo per unirsi al disimpegno oltreoceano.
Del resto la quota del 2% del PIL spesa per la difesa rimane lontanissima. Noi passiamo dall’1,3% all’1,2%, scendendo tra l’altro dal 15esimo al 22esimo posto nella speciale classifica di spesa per PIL tra i Paesi NATO. Solo 8 rispettano la soglia trumpiana, soprattutto i piccoli Paesi dell’Est.
Per vincoli economici e probabilmente culturali non possiamo pensare a incrementi della spesa militare di grande entità.
Al massimo si potrebbe, come per fortuna sta già avvenendo, ottimizzare tale spesa, incrementando la quota per attrezzature e tecnologia piuttosto che per il personale. Abbiamo raggiunto la soglia raccomandata del 20%. Cinque anni fa eravamo a circa la metà.
In sostanza, pochi più dell’Italia avrebbero interesse alla creazione di un nuovo ombrello, analogo a quello americano dei decenni scorsi. Un ombrello europeo. Le cui le economie di scala consentirebbero di non dover accrescere la parte di bilancio destinata alla difesa.
Un esercito europeo che possa avere una massa critica tale da farci temere meno le bizze degli Erdogan e dei Putin, e anche l’imprevedibilità dei presidenti USA.
Si tratterebbe però di una decisione squisitamente politica, davanti alla quale i macigni dei populismi e dei sovranismi, di ogni genere, da quelli della sinistra anti-militarista a quelli dei nazionalisti di destra, oggi appaiono veramente insormontabili.
L’unica alternativa per noi nel frattempo rimane la progressiva e lenta marginalizzazione.