«Rischiano di tornare in clandestinità, parcheggiati nei centri, vittime di sfruttamento lavorativo e criminalità. Le persone non sono pacchi: noi non cacceremo nessuno!». A parlare è Virginia Anna Crovella, portavoce del Centro Sociale Ex Canapificio di Caserta, che gestisce un progetto d’accoglienza Sprar in città. La battaglia che sta combattendo è in difesa dei 56 richiedenti asilo che il Ministero dell’Interno, attraverso una circolare del 19 dicembre 2019, ha deciso di trasferire dai circuiti Sprar in centri di accoglienza straordinari (Cas) predisposti dalle Prefetture, così come prevede il primo dei decreti sicurezza voluti da Matteo Salvini, che il governo giallorosso non ha ancora modificato.
Già nel marzo 2019 l’ex Canapificio si era trovato ad affrontare un grosso problema, ovvero il sequestro, su ordine della Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, della struttura; i fondi dello Sprar, inoltre, erano stati bloccati per oltre 10 mesi, fino al 30 dicembre 2019.
«La cosa più grave – si sfoga Crovella – è che ad essere giudicate e gestite secondo le nuove normative sono persone arrivate in Italia ed inserite negli Sprar prima del 5 ottobre 2018, giorno dell’entrata in vigore del decreto sicurezza». Dal 1 gennaio 2020, e fino a quando lo Stato non deciderà se garantire o meno l’asilo politico a queste persone, sono state sospese anche tutte le spese d’istruzione e di formazione professionale, indispensabili per una seria inclusione sociale dei richiedenti asilo.
«Il nuovo governo sostiene di muoversi in direzione di discontinuità e cambiamento rispetto al governo precedente. In realtà, – continua la portavoce – non soltanto non ha ancora abrogato il decreto Salvini, ma lo sta applicando in maniera restrittiva e retroattiva, nonostante una chiara sentenza della Cassazione, a sezioni unite, giudichi questa prassi illegittima».
Lo scorso novembre, la Cassazione, esprimendosi su un ricorso del ministero dell’Interno contro tre casi di concessione di permessi di soggiorno per motivi umanitari. La Corte ha confermato la possibilità per tutte le persone che avevano fatto richiesta di protezione internazionale prima del 5 ottobre 2018, giorno dell’entrata in vigore del decreto, di potersi vedere riconoscere la vecchia protezione umanitaria, eliminata con il decreto sicurezza.
«Senza un cambiamento urgente si profilano rischi sociali e occupazionali seri, oltre che un profondo impoverimento dei territori, privati degli strumenti per la coesione sociale, il contrasto alla marginalità e la promozione della legalità», spiega Crovella.
Tra queste 56 persone che rischiano di vedere stravolto il loro futuro, ce ne sono alcune che hanno una storia particolarmente delicata. Nash, ad esempio, è un anziano ghanese completamente non vedente, che necessita di assistenza quotidiana. E ancora Sanogo, fuggito dalla guerra civile in Costa d’Avorio, a cui non è stata riconosciuta la protezione internazionale. Nel frattempo, il giovane ha fatto ricorso e a Caserta si è ricostruito una vita, divenendo un vero e proprio punto di riferimento per la cittadinanza. Dopo aver frequentato una scuola d’informatica, il giovane è diventato custode volontario della Villa Comunale di Parco degli Aranci, nonché accompagnatore del Piedibus ed educatore di bambini nei quartieri popolari.
«Al Ministero – conclude Crovella – chiediamo di rispettare la sentenza della Cassazione a sezioni unite contro la retroattività dei decreti sicurezza. Chiediamo, ancora, il superamento del Modello emergenziale Cas, l’apertura di canali legali per il contrasto al traffico di esseri umani e il potenziamento dei corridoi umanitari; infine, il ripristino della protezione umanitaria o allargamento dei casi speciali». Le istanze sono chiare, la legge ancora di più.