Dal suo arrivo sulla scena politica francese, ben prima di diventare presidente, Emmanuel Macron si è fatto notare per un’attenzione ai simboli fuori dal comune. Li capisce e li coltiva, li sfrutta a suo vantaggio, fanno parte della sua comunicazione, che è studiata in modo maniacale da lui in prima persona. In molti casi il confine tra messaggio genuino e recita ipocrita è sottilissimo, a volte non esiste, perché ciò che conta è il risultato, duplice: occupare i media nel breve termine, fissare un’immagine significativa, di cui tutti si ricorderanno, nel lungo. Appena arrivato in Israele per la sua prima visita ufficiale in Terra Santa, il presidente francese ha scelto di rompere il protocollo allungando oltre misura la sua passeggiata nella Città Vecchia, visitando la spianata delle Moschee, il muro del Pianto, la chiesa del Santo Sepolcro: «La sua agenda è esplosa», ha scritto il Monde, che ha inviato due giornalisti a seguire il viaggio di Macron. Il presidente ha ripetuto, insomma, il percorso che nel 1996 fece il suo predecessore Jacques Chirac, impegnato in un giro simbolico che comunicava un messaggio preciso e un po’ arrogante: rappresento la Francia, a Gerusalemme vado dove voglio perché la città non è soltanto vostra.
Un ottimo modo per far innervosire gli agenti di sicurezza israeliani, incaricati di seguire un capo di Stato straniero in un ambiente molto particolare, dove ogni gesto è politico e come tale può essere frainteso, strumentalizzato, estremizzato. E infatti Chirac, che si voleva grande amico degli Stati arabi nella regione e della causa palestinese, approfittò dell’insistenza della polizia israeliana, che voleva limitare i suoi contatti con i commercianti arabi della regione, per mostrare a tutti la sua risolutezza: «What do you want? Me to go back to my plane and go back to France» urlò. Un’immagine storica, che Macron conosce benissimo. Nel 2017 a Taormina, impressionato dal dispositivo di sicurezza che lo accompagnava per le strade della città vecchia, il presidente francese cominciò a scherzare con gli agenti italiani: «You want me to take my plane», disse ridendo.
Così la scena che segue è telecomandata, scritta dal Macron sceneggiatore della sua presidenza. Il francese si dirige verso la basilica di Sant’Anna, uno dei quattro edifici di proprietà della République in Terra Santa, impossibile da non notare, visto che sul campanile svetta il tricolore. Visita prevista, che segue l’impegno di istituire un fondo di aiuto alle scuole cristiane in Medio Oriente, dove 400.000 bambini imparano il francese. A Sant’Anna è uso che entri soltanto la delegazione francese: questione di sovranità nazionale in un luogo dove la sovranità è un concetto sfumato e sensibile. Ed ecco che, forse per avventatezza, forse per provocazione, forse per strafottenza, un agente israeliano prova a introdursi nella basilica insieme a Macron, che sbotta: «Non mi piace quello che sta facendo davanti a me, esca! Rispetti le regole che sono in vigore da secoli, non sono io che le cambierò: qui siamo in Francia, tutti conoscono la regola!». Un’altra citazione di Chirac, protagonista di un episodio molto simile ma non ripreso dalle telecamere. Sempre nel 1996 l’allora presidente francese rifiutò di entrare nella basilica con i soldati israeliani: «Non voglio gente armata in territorio francese, non entrerò finché non se ne andranno». La ebbe vinta.
Un buon modo per Macron di parlare al mondo arabo, che infatti ha molto apprezzato la sua visita, l’ha accolto nei luoghi santi dell’islam, ha rilanciato il video sui social media. Un riequilibrio rispetto a una dichiarazione molto significativa data davanti a Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano, con cui ha avuto un incontro bilaterale al mattino: «L’antisionismo è una forma di antisemitismo» aveva detto il presidente. Cristiani, ebrei e musulmani. Macron parla a tutti.
Titolo facile sulla stampa francese: «Macron fait du Chirac à Jérusalem»