C’è il comandante di una nave cui l’Italia, in forza dei decreti sicurezza ancora vigenti, ha comminato una multa di trecentomila euro per avere salvato degli esseri umani. Ci sono due studentesse di diciotto e diciassette anni, e ventuno operai tessili, che in base alle norme sul blocco stradale hanno ricevuto una multa di quattromila euro, per avere partecipato a una manifestazione organizzata dai lavoratori proprio contro i decreti sicurezza. C’è il giovane leader di un movimento spontaneo nato per contrastare il salvinismo che chiede da ogni piazza e in ogni intervista di abrogare quei decreti, cancellare quelle multe e riaprire gli Sprar. C’è un’intera campagna elettorale completamente dispiegata sulle pagine dei giornali, da mesi, praticamente già pronta, che nessuno sta facendo. Perché davanti allo scandalo di quei provvedimenti, alle mille ingiustizie che producono e alle vittime di tutto questo che chiedono risposta, la replica del Partito Democratico è sempre la stessa: «Not today».
Il problema del Pd, ormai lo hanno capito tutti, è la sicurezza. Di perdere. Per questo ha smesso persino di combattere. Non è poi così paradossale, e nemmeno così insolito. È sempre accaduto, dalla notte dei tempi, in ogni genere di battaglia. A questo punto non è più una crisi politica. È una crisi di panico.
In fuga dal caso Gregoretti, dove gli esponenti della maggioranza, quelli che avrebbero dovuto precipitarsi in commissione per votare l’autorizzazione a procedere contro Matteo Salvini, hanno tentato in tutti i modi di rinviare il voto (dopodiché, non essendoci riusciti, hanno minacciato addirittura di disertare); imboscati sui decreti sicurezza, che sono ancora lì intonsi, e continuano a produrre gli effetti vergognosi appena ricordati; scomparsi sullo ius culturae, che pure soltanto due mesi fa avevano giurato, per l’ennesima volta, di volere introdurre. È molto difficile definire tutto questo una ritirata strategica (nel caso, complimenti allo stratega).
Non si può nemmeno dire che il problema siano i sondaggi, che già sarebbe deprimente. Lo ius culturae è approvato dalla maggioranza degli italiani secondo tutte le rilevazioni, da anni, eppure non è mai il momento giusto. E non è neanche un problema di rapporti con il Movimento Cinque Stelle. Perché non era il momento giusto nemmeno quando il centrosinistra era al governo da solo, e aveva la maggioranza in parlamento.
La verità è che la narrazione populista su immigrazione e sicurezza è stata introiettata da buona parte dei democratici. Il guaio peggiore, insomma, non è che su questi temi dicano spesso le stesse cose di Salvini; ma che, a forza di dirle, abbiano cominciato a crederci. Di conseguenza, anche accusarli di ipocrisia, per il loro comportamento contraddittorio in questo campo – dagli accordi con la Libia al caso Gregoretti – rischia di ingenerare un ulteriore equivoco: non è quando difendono i decreti sicurezza, che non sono sinceri. È quando li criticano.