Mani invisibiliIl paradosso della politica: meno ce n’è, meglio funziona

Nel mercato gli egoismi individuali si controbilanciano e portano al benessere collettivo. Un meccanismo che non vale per chi governa, dove piuttosto servono vincoli alle tentazioni dirigiste

da Pxhere

Con chi schierarsi nell’annosa diatriba fra “statalisti” e “mercatisti”? Quali sono le differenza di fondo fra i due approcci? Di seguito tento una risposta ispirata a R. H. Nelson, Economics as Religion, Pennsylvania.

Nel mercato i vizi diventano virtù e lo fanno funzionare. Nel caso del governo manca un meccanismo vizioso che, trasformando in vizi in virtù, lo faccia funzionare. Ergo, mentre i Mercati funzionano con l’umanità come è, si pretende che la politica funzioni grazie ad una umanità ideale.

La più famosa delle soluzioni pensate per spiegare il funzionamento dei mercati è quella che afferma che ciascuno, facendo il proprio interesse, agisca intenzionalmente nella direzione dell’interesse di tutti: “vizi privati come pubbliche virtù”.

Il macellaio venderà la carne con la miglior combinazione di qualità e prezzo per attirare clientela, ma, così facendo, obbligherà gli altri macellai, che non vogliono perdere la propria clientela, a vendere la carne con la migliore combinazione di qualità e prezzo. I comportamenti dei macellai singolarmente presi sono egoistici, ma l’insieme di questi comportamenti alza il benessere dei consumatori. Possiamo perciò essere “innocentemente” egoisti.

Se i comportamenti volti a soddisfare gli interessi individuali sono virtuosi nei Mercati, lo sono anche in Politica?

Se i politici si comportassero “da macellai”, ossia se tentassero di attrarre i voti con una migliore combinazione di effetti di buone politiche (una buona legislazione) al minor prezzo possibile (le imposte volte a finanziare la buona legislazione), avremmo, di nuovo, il “benessere degli elettori”, proprio come abbiamo avuto quello “dei consumatori”? Se assumiamo che tutti conoscano la migliore combinazione legislativa (se condividono lo stesso modello), e se la Politica la offre, ecco che verrà votata.

Qui abbiamo un problema. Mentre ciascun macellaio conosce le circostanze di tempo e di luogo in cui opera, e questo è sufficiente per il suo ben operare, nel caso del voto, nessuno conosce tutte le circostanze di tempo e di luogo, e dunque non può avere in mente un modello generale valido. Altrimenti detto, ciascuno conosce le proprie circostanze, ma non conosce quelle degli altri. Affinché tutto funzioni, è perciò necessario (in linea logica) che il modello generale valido sia offerto da qualcuno che lo pensi e lo attui.

In questo modo lo schema “il mercato funziona, e, quando non funziona, si ha chi lo fa funzionare”, è chiuso con l’ingresso di una tecnocrazia, ossia con l’arrivo di chi conosce la soluzione e ha il potere di renderla pratica, senza interesse di parte.

Abbiamo alla fine un mondo non simmetrico. Mentre gli individui che operano nei Mercati sono egoisti, e, nonostante questo, virtuosi, quelli che operano in Politica debbono essere altruisti. E dovrebbero vivere virtuosamente, proprio come nella Chiesa Cattolica, là dove i sacerdoti e le monache non hanno proprietà e sono casti, mentre ai fedeli è consentito di averla e di accoppiarsi.

Nel vecchio mondo “dirigista” ci sono i mercati dove vige l’egoismo e la politica può chiudere il cerchio (ci si crede per davvero?) promuovendo il benessere grazie ai politici di professione virtuosi ed ai tecnocrati competenti, i neo- sacerdoti.

Nel nuovo mondo “mercatista” i mercati ci sono e sono egoisti, ma la politica ha molta meno importanza ai fini del benessere, perché può distorcere le cose. Perciò il suo ruolo – attraverso i vincoli al bilancio statale, le banche centrali indipendenti, eccetera, va ridotto. Meno politica si ha, meno neo-sacerdoti ci sono, meglio è.