Il grande stopCrescita debole, troppi dazi, incertezza mondiale: nel 2020 si è inceppata la globalizzazione

Secondo il Rapporto annuale della Fondazione Einaudi, presentato a Milano alla sede di Assolombarda, gli assetti economici del pianeta sono sempre più confusi. Gli imprenditori faticano a fare previsioni, diminuiscono gli investimenti e si aprono spaccature in una società sempre più incattività

NICOLAS TUCAT / AFP

Il 2020 sarà l’anno in cui si ferma la globalizzazione? Secondo Mario Deaglio, professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino, è probabile. «Di sicuro non sarà più come l’abbiamo conosciuta finora». È una delle conclusioni cui arriva nel XXIV Rapporto sull’Economia Globale e l’Italia della Fondazione Einaudi, presentato martedì 28 gennaio a Milano. A introdurre il volume (quasi 250 pagine, densissime), ormai vero e proprio breviario per l’investitore, si sono avvicendati il vice presidente vicario di Assolombarda, Alessandro Spada, la presidente di Ubi Banca Letizia Moratti, e il presidente del Centro Einaudi Beppe Facchetti. Insieme a loro, un parterre del mondo delle imprese e degli istituti di credito: Sonia Bonfiglioli, dell’omonimo gruppo, Andrea Guerra, presidente di Eataly e Victor Massiah, consigliere delegato di Ubi Banca. Avrebbe dovuto esserci anche Brunello Cucinelli, ma una indisposizione lo ha fermato.

«Questo è, come recita il titolo della ricerca, Il tempo delle incertezze. Un periodo ampio, indefinito, che supera lo spazio dei dodici mesi del 2019», puntualizza Spada. E le questioni che si sono affacciate – che continueranno a mostrarsi nei prossimi mesi – sono di ampia portata. Lo confermano i dati macro: il Pil mondiale è cresciuto solo del 3%, «il valore più basso dai tempi della crisi». In Europa si è fermato all’1,2%, e in Italia allo zero virgola. Quasi impercettibile. A pesare sono i nuovi assetti geopolitici, l’emergenza climatica, le nuove tecnologie: tutto in una fase di transizione dai contorni poco chiari. «E dove lo sono, come nel caso della guerra dei dazi tra Usa e Cina, è quasi peggio: il nuovo accordo tra i due Paesi, con 200 miliardi di dollari per beni americani andrà a danneggiare l’export europeo».

L’incertezza diventa certezza, in ogni campo. «Cambiano anche i poli magnetici», scherza Deaglio. Ma neanche tanto: «Questo costringe gli aerei a modificare la rotta, evitare l’Islanda e allungare i tempi di percorrenza», con un costo maggiore in fatto di consumo e di ambiente. Che si aggiunge «alla Brexit, alle spaccature nella famiglia reale (noi la sbeffeggiamo per gli inglesi è una cosa molto importante), all’esperimento in Austria, dove fanno un governo tra conservatori e verdi». Ma ci sono motivi di incertezza in Europa più preoccupanti: «La Svezia ha individuato 60 aree dove è vietato l’ingresso, perché lì comanda la criminalità. La Francia è divisa dalle manifestazioni dei sindacati e dei gilet gialli. La Spagna ha avuto quattro elezioni. E sapete da quanti giorni non c’è un governo in Belgio? 400».

Un accenno alla Germania, dove il blocco di Angela Merkel si sta disgregando piano piano. Le inquietudini di una Russia che si avvia verso la nuova costituzione, le guerre in Medioriente. «E l’India: se ne parla poco, ma è sempre più induista. E questo aumenta le discriminazioni contro gli islamici». In tutto ciò, «suscitano interrogativi i dazi di Trump. Sia quelli verso la Cina che, soprattutto, quelli con l’Europa. Viene da chiedersi», suggerisce, «se siamo ancora la stessa economia. O se dobbiamo guardare all’Asia». È qui che Deaglio conclude: «La globalizzazione, che calcoliamo come il rapporto tra le esportazioni globali e il Pil, è da considerarsi un episodio chiuso. Almeno per come la abbiamo conosciuta finora».

Al suo posto c’è un «incattivimento globale», che per Deaglio si individua in uno scontro tra religioni – anche se i fedeli cristiani sono sempre meno. «Collegato a un crollo delle ideologie», per cui niente più socialismo e molto meno liberismo. Va aggiunto anche il «risentimento degli esclusi, che si traduce in un picco di suicidi negli Usa. Sono uomini bianchi, anglosassoni: i perdenti nelle battaglie della vita», fino agli episodi di «microcattiveria», categoria nella quale racchiude le fake news, i vandalismi e anche l’indisciplina nel traffico.

Ma siamo nelle minuzie. Più grave, piuttosto, è la situazione italiana, che viene dissezionata. Negli ultimi 12 mesi l’economia è andata in tilt (così titolano nel rapporto). Salvati dalle esportazioni, verrebbe da dire. Perché gli investimenti «sono stati pochi» e la spesa dei consumi, come è noto, «è rimasta stabile». Cresce il divario territoriale: il nord-ovest in picchiata, a fronte di un lombardo-veneto che tiene, ma non brilla. «La Sicilia fa peggio di tutti, anche delle altre regioni del Sud».

Che fare? Sperare nella politica, suggerisce Deaglio. Nel parterre degli ospiti non tutti sono d’accordo: «In questo lasso di tempo che resta al governo italiano si può sperare che facciano misure adeguate alla crescita. Ma quello che serve», argomenta Massiah, «è un patto, una cosa molto semplice, in cui ci si impegna per tre anni a non cambiare le regole del gioco». Questo attenuerebbe l’incertezza e aiuterebbe, forse, gli investimenti.

Qualche critica arriva invece da Andrea Guerra: «Le medie contenute nel rapporto però vanno prese con le pinze». Perché «sono medie», appunto, «e non tengono conto della realtà industriale sempre più divisa». Ci sono aziende che volano, poche ma forti, «che si sono aperte a capitali stranieri, hanno investito e costruiscono una strategia per il futuro», e c’è un corpaccione che, per paura e dimensioni, sta crollando. In un contesto simile si perde di vista la cosa più importante per un imprenditore: «Capire che c’è una rivoluzione nei consumatori, che chiedono aziende più responsabili. Questo vale nei confronti dell’ambiente, senza dubbio. Ma anche nei confronti della sostenibilità dei propri investimenti. Aziende che sappiano pensare e progettare su decenni, e non sul breve periodo». Non facile, vista la velocità del cambiamento globale. Ma nessuno ha mai detto che lo fosse.

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