Nel meraviglioso film Jo Jo Rabbit, uno dei dettagli più sottili è esilaranti è la miriade di sfumature con le quali i diversi personaggi pronunciano “Heil Hitler”, declinando il saluto rituale dall’urlo a squarciagola a sussurro ironico accompagnato da un gesto della mano svogliato ad accennare appena il saluto nazista. Chi ha vissuto il tramonto dell’Urss, quando perfino i gerarchi e gli intellettuali di regime ormai consideravano di cattivo gusto il zelo ideologico, riconosce subito questa messagistica criptata: osserviamo le apparenze il minimo necessario, cosa dobbiamo fare, ma mostriamo di non crederci, noi che siamo gente intelligente sappiamo che ormai è tutto finito. E, come nel film di Taika Waititi, gli unici a continuare a gridare il nome del fuhrer strabuzzando gli occhi sono o i più stupidi, i cloni della propaganda, e quelli che lo scandiscono gelido e chiaro sono gli incorporati nel regime, i suoi funzionari e custodi, che in un mix di cinismo e ideologia si rendono comunque conto di non avere alternative, e continuano a dare la caccia agli ebrei anche mentre gli Alleati stanno già entrando in città.
Per avere una conferma di questa regola nella realtà, anzi, nella cronaca, basta scorrere la lista dei 75 componenti della Commissione per gli emendamenti costituzionali, che in sole tre riunioni nell’arco di quattro giorni ha discusso e preparato il testo della riforma costituzionale voluta da Putin, che verranno votate dalla Duma già il 22 gennaio, una settimana dopo che la Russia ha scoperto di aver bisogno di una nuova Costituzione. Nulla di strano, secondo il portavoce del Cremlino, «le iniziative del presidente ottengono sempre un grande riscontro». A realizzare il desiderio di Putin di avere pieni poteri ancora più pieni di prima sono stati chiamati attori, sportivi, scrittori, chirurghi, sindacalisti, veterani di guerre, direttori di musei, cosmonauti, cosacchi e una manciata di giuristi e deputati. Il loro dibattito sarà diretto da tre copresidenti. Il senatore Andrej Klishas è l’autore delle leggi sull’”Internet sovrano” (che prevede la possibilità per la Russia di staccarsi dalla Rete globale), sul reato di critica dei funzionari statali (la cosiddetta legge sulle “fake news”) e sugli “agenti stranieri” (marchio affisso a Ong e privati critici del governo), famoso anche per la sua collezione di orologi da decine di migliaia di euro che esibisce fieramente. Pavel Krasheninnikov, ex ministro della Giustizia ora deputato, ha promosso il ritorno della calunnia nel codice penale (utilizzato come arma contro i giornalisti) e dell’introduzione della responsabilità penale per chi riposta sui social post “estremisti”. Talia Khabrieva, accademica esperta di diritto, ha proposto di recente l’inserimento nella Costituzione di una ideologia di Stato (attualmente l’articolo 13 vieta espressamente alla Russia di possedere un’ideologia ufficiale) fondata sul «collettivismo e la spiritualità», valori che secondo lei per i russi sono «genetici», insieme alla «attribuzione di un ruolo preponderante allo Stato».
Gli altri “costituzionalisti” non sono da meno. La deputata Olga Batalina è stata tra le promotrici della legge che proibisce l’adozione degli orfani russi negli Usa: stilata in rappresaglia alle sanzioni introdotte dal Congresso per la corruzione in Russia, ha lasciato negli orfanotrofi più di 200 bambini che stavano per essere adottati; molti avevano gravi problemi di salute, alcuni sono morti pochi mesi dopo. Elena Isinbaeva, campionessa mondiale di salto con l’asta, che alla vista di Putin è scoppiata a piangere di commozione, alle Olimpiadi di Sochi aveva criticato le atlete svedesi che per solidarietà con la comunità LGBT russa colpita dalla “legge anti-gay” si erano dipinte le unghie con l’arcobaleno: «Vogliono offendere la Russia, da noi le ragazze vanno con gli uomini e i ragazzi con le donne, siamo diversi dagli europei». Nikolay Doluda, possessore di un titolo stravagante come “atamano dei cosacchi”, è accusato dalle associazioni di tartari della Crimea di aver organizzato le “sparizioni” degli attivisti di questa minoranza dopo l’annessione della penisola nel 2014 (alla quale ha partecipato venendo premiato con una medaglia dal Cremlino). Lo scrittore Zakhar Prilepin, che si dichiara stalinista, si vanta di essere andato a combattere per i separatisti filorussi nel Donbass e di aver «ucciso più ucraini di chiunque altro». La pattinatrice sul ghiaccio Irina Rodnina è famosa ormai non più per aver acceso la fiamma olimpica a Sochi, ma per aver postato sui social la foto di Barack e Michelle Obama che guardano avidamente una banana. Il senatore Aleksej Pushkov è uno dei propagandisti più scatenati della TV russa, fervente fustigatore dei decaduti costumi europei, ma il Facebook di sua moglie è pieno di foto di vacanze in Spagna, Italia e Francia, e consiglia ai suoi follower di andare a sciare in Svizzera e Austria perché «i camerieri francesi sono troppo snob». Sua figlia Daria guida il Centro russo di scienza e cultura di Roma, che sotto il direttore precedente si era fatto notare per un’intensa collaborazione con la Lega e Casa Pound (la figlia si era candidata a Roma con i Fratelli d’Italia). L’esponente dell’Unione delle Donne Ekaterina Lakhova è celebre per aver osteggiato l’aumento del paniere di consumo minimo, sostenendo «vivere con 3500 rubli (circa 50 euro, ndr) è difficile, ma possibile» e consigliando ai russi di fare giorni di digiuno «che fanno bene alla salute». Il politologo Vjaceslav Nikonov, nipote del ministro degli Esteri di Stalin Molotov, che si è distinto in un articolo che dichiara che i russi sono «i veri ariani» (impagabile la battuta del poeta Igor Irteniev: «Non è il nipote di Molotov, è il nipote di Ribbentrop»). Ma anche esponenti della “società civile”, infilati nella commissione costituzionale per rispettare tutte le regole del gioco, mostrano di essere in sintonia: il paraolimpionico Serghey Burlakov vuole inserire nella Costituzione l’ortodossia come religione di Stato.
Questa strana compagine di personaggi che hanno fatto scandalo perfino in patria – già definiti dal leader dell’opposizione Aleksey Navalny il «Flying Circus di Putin» si affiancherà a un nuovo governo, pieno di nomi di funzionari e tecnici abbastanza sconosciuti se non a chi indaga le malefatte della nomenclatura russa: le inchieste sulla corruzione dello stesso Navalny e la lista nera delle tesi di dottorato copiate del Dissernet. Un’alleanza degli stronzi che dice parecchio sulla direzione di dio, patria e famiglia che il Cremlino ha intenzione di prendere (è vero che il ministro della Cultura Vladimir Medinsky, famoso per aver giustificato la falsificazione della storia a beneficio della propaganda, è stato licenziato, ma al suo posto è arrivata Olga Lyubimova, autrice di 80 film sulla chiesa ortodossa russa e responsabile dei finanziamenti pubblici al cinema). I liberali e i competenti, perfino quelli moderati, quelli contenti di fare da facciata, non sono più ritenuti né affidabili, né necessari. Bastano i personaggi del baraccone propagandistico in cerca di scandalo, considerati dei clown esagitati perfino da molti gerarchi dei regime, che ora si prestano da comparse per lo spettacolo costituzionale di Putin, e “scriveranno” per lui una Costituzione che darà al presidente ancora più potere sul governo e il potere giudiziario. Il segnale, insieme al licenziamento improvviso e clamoroso di alcuni fedelissimi come il procuratore generale Jurij Chaika, è chiaro: a nessuno sarà permesso di recitare svogliatamente il saluto al leader. Per certi versi, non c’è da stare tranquilli, e con una claque del genere episodi come quello del fermo di due “idraulici” russi che stavano piazzando microspie a Davos e che ai poliziotti hanno esibito dei passaporti diplomatici senza specificare per quale “missione” fossero stati inviati in Svizzera, si ripeteranno ancora e ancora. Per certi versi, c’è da stare tranquilli, perché con una corte composta dal “Flying Circus” si può finire solo nel bunker.