Per il momento circola solo una bozza di modifica del memorandum sui migranti che il governo italiano vorrebbe proporre alla Libia. Quando però ci siederemo al tavolo con i libici e soprattutto con quali interlocutori lo faremo, mentre sull’altra sponda è in corso la guerra, ancora non si sa. E così il 2 febbraio quell’accordo firmato da Marco Minniti nel 2017 si rinnoverà così com’è, nella forma e nella sostanza, per altri tre anni, senza aver cambiato una virgola e senza tenere conto della mutata situazione dello Stato nordafricano. E nonostante gli orrori documentati nelle strutture dove vengono tenuti i migranti riportati indietro dalla fantomatica guardia costiera libica, e la decisione dell’Unhcr di sospendere tutte le operazioni nel centro di accoglienza di Tripoli per «motivi di sicurezza», l’Italia continuerà così a considerare la Libia un “porto sicuro”. E Roma dovrà adempiere per i prossimi tre anni agli impegni assunti con Tripoli nel testo originario.
Quasi tre mesi dopo l’impegno assunto dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese (lo scorso 6 novembre alla Camera) di rivedere alcuni aspetti del patto come condizione vincolante al rinnovo, la maggioranza sta muovendo solo i primi timidi passi. Il gruppo di lavoro che avrebbe dovuto definire nei dettagli le modifiche da proporre a Tripoli si è insediato da poco. E sta lavorando a una bozza di modifica che punterebbe, come annunciato da Lamorgese, soprattutto a risolvere le «criticità» proprio a iniziare dai centri. «Abbiamo costituito un gruppo di lavoro: abbiamo terminato di definire gli interventi da portare avanti e attualmente siamo in fase di chiusura; non appena avrà il via libera anche da parte del ministero degli Esteri, dato che abbiamo lavorato congiuntamente, andrà avanti. Quindi speriamo di poterlo portare a compimento nel giro di poco tempo. La parte nostra è stata fatta», ha detto Lamorgese. Poi toccherà alla Farnesina negoziare, ma intanto la commissione bilaterale italo-libica che avrebbe dovuto insediarsi ai primi di novembre finora non ha prodotto nulla. «Non abbiamo ancora ricevuto alcuna nuova bozza, decideremo quando avremo modo di visionarle», aveva detto lo scorso novembre uno dei membri del governo di accordo nazionale di al Sarraj.
Ma con la tregua che non regge, i blindati turchi sbarcati a Tripoli e la guerra tra milizie in corso, procedere in Libia come annunciato dal Viminale è impossibile. In primis perché non si capisce chi debbano essere gli interlocutori del nostro governo in un Paese diviso. A novembre, quando Lamorgese annunciò gli imminenti negoziati per la modifica del memorandum, in Libia in realtà l’emergenza era già in corso. E uno dei centri di detenzione era già stato colpito dai bombardamenti del generale Haftar, poi ospitato in Italia, generando pure il noto qui pro quo diplomatico. Intanto, nelle ultime ore gli sbarchi di migranti dalla Libia crescono. E c’è chi, anche nella maggioranza, non esclude che l’impennata degli arrivi sia una sorta di ricatto che il governo di unità nazionale libico vuole esercitare sull’Italia in un momento in cui i rapporti tra le due sponde non sono per niente ottimi.
Ad oggi, la giustificazione del governo sul tacito rinnovo degli accordi è proprio il silenzio da parte delle autorità libiche. «Chi lo avrebbe mai detto?», ironizzano gli orfiniani del Partito Democratico che da mesi nella maggioranza premono per l’annunciata e mai realizzata discontinuità sulle politiche dell’immigrazione, insieme ad altri esponenti di Leu, Più Europa e Italia Viva. Dalla maggioranza e anche da diversi eurodeputati del Pd continuano ad arrivare gli appelli perché l’intesa non venga rinnovata. In campo sono scese anche diverse associazioni e comitati, sardine comprese. Nella giornata di ieri il comitato promotore della campagna “Io Accolgo” ha dato vita a un mailbombing per chiedere ai ministri Di Maio e Lamorgese di cancellare il memorandum. E persino il Consiglio d’Europa ha chiesto all’Italia lo stop a tutte le intese con la Guardia costiera libica finché non saranno garantiti i diritti umani dei migranti.
Da parte sua, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio – che proprio nell’ultima informativa al Parlamento sulla Libia ha confermato il ruolo centrale di Tripoli nel «prevenire flussi migratori illegali» – rassicura sul fatto che a breve potrebbe partire il negoziato e che le modifiche potranno essere concordate anche dopo il 2 febbraio. Ma a crederci sembra essere solo il segretario del Pd Nicola Zingaretti, che ad Agorà ha detto che «il memorandum non è uguale a quello del passato».
A cambiare, e in peggio, per il momento, sono state soltanto le condizioni in Libia, da mesi al centro di una guerra sanguinosa. Tanto da spingere anche l’Unhcr ad andare via dal sito di raccolta e partenza (Gathering and Departure Facility) in cui l’agenzia delle Nazioni Unite operava dal 2018 perché «potrebbe diventare un obiettivo militare», come ha dichiarato la portavoce Carlotta Sami.
Il 2 febbraio così partirà il “nuovo” memorandum, che di nuovo non ha nulla. Nello stesso giorno i Radicali italiani hanno annunciato un presidio di fronte a Montecitorio per chiedere ai presidenti delle Camere e al Parlamento di portare in aula con urgenza l’accordo e deliberarne la sospensione immediata.
«Almeno quarantamila rifugiati e migranti dal 2017, anno in cui è stato sottoscritto il memorandum Italia-Libia, sono stati intercettati nel Mediterraneo centrale dalla Guardia costiera libica e portati indietro. Oltre 1.000 solo nei primi giorni del 2020. Non sappiamo che fine abbiano fatto, se siano stati vittime di violenza o se abbiano perso la vita nei lager dove noi abbiamo contribuito a rimandarli, supportando tutto ciò con milioni di euro», spiegano Massimiliano Iervolino e Giulia Crivellini, segretario e tesoriera dei Radicali Italiani.
Un nuovo rapporto di Oxfam ha rivelato come negli ultimi quattro anni oltre 1 miliardo di euro di aiuti europei destinati a scopi umanitari siano stati usati per il respingimento dei migranti, di cui 328 milioni di euro indirizzati alla Libia. Mentre l’Italia, che presto dovrà rifinanziare pure la missione libica, nei tre anni di accordo ha già stanziato 570 milioni di euro per il sostegno alla Guardia costiera libica, operazioni navali nel Mediterraneo, adeguamento dei centri di detenzione, contenimento dei flussi e rimpatri “volontari”.
Il tutto mentre, nel nuovo report presentato al Consiglio di sicurezza, il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha spiegato che «nei centri le persone vengono sistematicamente sottoposte a detenzione aribitraria e torture». E l’8 gennaio scorso, Jean Paul Cavalieri, capo missione dell’Unhcr in Libia, davanti alla Commissione Esteri della Camera, ha detto senza mezzi termini che le condizioni nel Paese continuano a esporre a rischi di protezione, violazioni dei diritti umani e abusi centinaia di migliaia di migranti intrappolati nei centri. Il centro di accoglienza delle Nazioni Unite, pensato per circa 600 persone, oggi ne ospita più di mille. E oltre ai 3mila migranti nelle strutture gestite dal governo libico, si devono contare i circa 50mila fuori dai centri, oltre agli sfollati interni libici, che sarebbero oltre 300mila, come ha illustrato Cavalieri. Il capo missione dell’Unhcr ha anche spiegato ai parlamentari italiani che i responsabili dei centri libici per i migranti non sono solo esponenti del ministero dell’Interno di Tripoli ma anche miliziani che combattono nel conflitto. E che al momento, quindi, avere un unico interlocutore sulla gestione dei flussi dei migranti in Libia è un abbaglio. Che solo il governo italiano poteva prendere.