Un’iniziativa senza dubbio lodevole. Amazon ha prima rimosso due titoli di David Duke, ex leader del Ku Klux Klan. Poi ha eliminato quelli del fondatore del partito nazista americano, George Lincoln Rockwell. E sono finiti al bando anche opere come The Ruling Elite: The Zionist Seizure of World Power, di Deanna Spingola, o A History of Central Banking and the Enslavement of Mankind, di Stephen Goodson. Tutte opere che incitano all’odio, come è intuibile, ed è difficile sentirne la mancanza.
Del resto da anni la piattaforma fondata da Jeff Bezos censurava articoli e oggetti a tema nazista e razzista, mentre sui libri restava inerte. Era la policy con cui era stato concepito Amazon: “Vogliamo vendere ogni tipo di libri. Quelli buoni, quelli cattivi, quelli brutti. Saranno i lettori, con i loro commenti, a fare emergere la verità”, diceva Bezos nel 1998.
Le cose sono cambiate. Il punto di svolta è stato nel 2010, quando la presenza di una guida per pedofili tra le offerte di Amazon ha portato a una (giusta) reazione della società, che ha provveduto a rimuovere il volume. Col tempo la libertà predicata nel 1998 si è venuta restringendo. Amazon intanto è cresciuta, diventando un gigante globale per la vendita di oggetti e, soprattutto, di libri.
In tanti si sono lamentati del suo “strapotere”, dal momento che, come scrive il New York Times, «quando Amazon toglie un volume dalla sua libreria, è come se il titolo non fosse mai esistito». Una esagerazione, che però è vera per le dinamiche del sito: quando è stato rimosso uno dei libri di David Duke, il link ha smesso di portare al volume e non ne esistono altri in grado di rintracciarlo.
E in tanti, pur condividendo nel merito la sparizione di titoli nazisti dalla piattaforma, cominciano a nutrire qualche preoccupazione. È giusto che Amazon abbia questo potere di censura/promozione nei confronti dei libri che vende? La risposta è, almeno secondo il diritto, sì. Lo conferma Deborah Caldwell-Stone, direttrice dell’Ufficio per la Proprietà intellettuale della Associazione librai americana: Amazon è, come tutti i venditori al dettaglio, autorizzata a decidere e valutare il materiale che offre. È una posizione che in America viene regolata dal Primo Emendamento. “Nonostante le sue dimensioni, non ha alcun obbligo di sponsorizzare parole e discorsi che non ritiene accettabili”.
E finché sono opere di ispirazione nazista, è difficile trovare persone in disaccordo. Il rischio è un altro. Come dice, sempre al New York Times, Danny Caine, autore del pamphlet Come resistere ad Amazon e perché, “cosa succederebbe se Amazon decidesse di levare libri che rappresentano posizioni politiche meno spregevoli? O libri critici nei confronti di Amazon stessa?”. Già, che cosa? Il rischio di una deriva autoritaria, per un fornitore di queste dimensioni, non è da sottovalutare. Anche se forse la risposta del mercato stesso si farebbe sentire. Già ora, per esempio, i titoli rimossi da Amazon si trovano, compresi quelli di David Duke, su un’altra piattaforma che vende libri: Abe Books, la seconda più grande dopo Amazon. Che però è di proprietà di Amazon. E su questa contraddizione la società di Bezos non ha ancora detto niente.
Integrazione
A seguito della pubblicazione dell’articolo, Amazon scrive a Linkiesta per rispondere sulla questione: «Diamo valore al nostro rapporto con gli autori, gli editori e i venditori e investiamo molto nel nostro negozio online per renderlo il luogo migliore nel quale vendere e acquistare libri. Tutti i venditori decidono la selezione di titoli che intendono offrire e le nostre policy delineano quali libri possono essere venduti all’interno del nostro negozio. Non prendiamo alla leggera le decisioni di selezione dei titoli e siamo sempre al lavoro per supportare al meglio i nostri partner, migliorando il modo in cui facciamo rispettare e comunichiamo queste decisioni».