Fate prestoQualcuno salvi il centro di neurogenetica di Lamezia Terme

Sulla chiusura del polo di eccellenza calabrese, inaugurato dal Premio Nobel Rita Levi Montalcini, si sono espressi praticamente tutti, ma di fatto il primo marzo è prevista la chiusura. Ecco una cosa che potrebbe risolvere il Piano governativo per il Sud

Foto da Facebook

Non ci sono soldi. Finiti, anche quando si tratta di un’eccellenza nazionale come il Centro regionale di Neurogenetica di Lamezia Terme. Un’eccellenza non solo nel campo della ricerca, ma anche del Sud, uno dei pochi baluardi di cui potevamo ancora andare fieri. Inaugurato dal Premio Nobel Rita Levi Montalcini, la sua direttrice, Amalia Bruni, nel ’95 aveva scoperto la “presenilina”, il gene più diffuso dell’Alzheimer. Dopo trent’anni di studi per risalire alle origini della malattia e altri undici di biologia molecolare per isolare il gene alterato, il nostro Paese si era potuto fregiare di un risultato unico nel suo genere (Piero Angela vi aveva dedicato un SuperQuark). Invece niente, non ci sono fondi (pare) nemmeno per mantenere le poche cose buone che ancora ci rimangono. Intervistata dal Corriere della Sera, è stata proprio Bruni a lanciare l’allarme: il primo marzo si chiude. I 500mila euro all’anno che una legge regionale del 2007 aveva previsto per sostenere il Centro, dal 2018 sono improvvisamente venuti a mancare. E anche i 200mila euro inseriti dalla Regione in un nuovo fondo (per il triennio 2019-2021) sono finiti. Quattro biologhe sono già andate via, ed altre dieci persone, fra infermieri, informatici, psicologi e assistenti sociali hanno ricevuto le lettere di licenziamento. «C’è il rischio che il Centro di neurogenetica diventi un ambulatorio sanitario, perché la spoliazione in atto porterà a questo», ha raccontato la direttrice al Corriere.

Dalle dodicimila cartelle in archivio, i 4000 pazienti in cura e i 30 nuovi casi valutati ogni settimana, si è passati al voler rinunciare ad une delle strutture più avanzate nel campo delle malattie neurodegenerative (e pensare che nel 2007 alla dirigenza del centro era anche stato assicurato un organico a tempo indeterminato). Un centro, peraltro, cui la stessa comunità scientifica internazionale aveva fatto riferimento finora – in passato gli studi di Amalia Bruni si erano intrecciati con quelli di neurologi di fama mondiale come Robert Feldman, Jean François Foncin, Ron Polinsky e Luigi Amaducci. «Ogni giorno siamo costretti a mandare a casa centinai di pazienti e abbiamo bloccato anche le prenotazioni perché con un solo infermiere il Centro non può far fronte alla domanda di speranza», ha detto Bruni al Corriere. Con tanti saluti anche alla possibilità di sviluppare farmaci per combattere la malattia, che pure sarebbero arrivati presto. «Proprio mentre negli Stati Uniti si procede con protocolli speciali su soggetti portatori della mutazione genetica. Negli Usa lo sanno che i farmaci sono alle porte, e la ricerca continua. Qui si interrompe, negando ai pazienti anche la speranza», ha detto la direttrice, che nei giorni scorsi ha scritto una lettera al ministro Speranza e al presidente Mattarella per illustrare la situazione e chiedere che il centro possa essere salvato. Ad oggi, non c’è notizia di una risposta pervenuta.

Di fronte alla situazione, non sono mancate le reazioni di sdegno da parte di esponenti calabresi e non solo. Il segretario generale della CGIL Calabria Angelo Sposato, per esempio, ha dichiarato: «Quello che sta accadendo con il centro di neurogenetica di Lamezia Terme, così come già successo per il centro di scienze neurologiche di Piano Lago è la metafora della decadenza politica in Calabria. Abbiamo avuto una classe politica che dovrebbe essere relegata nell’oblio del regionalismo calabrese. Chiederemo l’intervento del Capo dello Stato e del Governo, per sostenere uno dei centri di ricerca di eccellenza della nostra regione e del Paese».

Sullo stesso tenore anche Antonello Di Cello, il presidente del circolo Acli (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani) don Saverio Gatti: «Siamo in presenza di una gravissima azione che a partire dalla città dovrebbe vedere impegnati tutte le Associazioni e tutte le istituzioni politiche a partire dal Comune, la Provincia per riaffermare un diritto dei malati e arginare questo ulteriore scippo verso una materia che appartiene da tempo allo stesso mondo accademico e sanitario regionale e nazionale».

Lo stesso Nicola Zingaretti, che a inizio gennaio (prima della sconfitta del Pd alle elezioni regionali) aveva avuto lì la prima tappa del suo tour elettorale calabrese, al fianco del candidato Pippo Callipo, aveva detto: «Il Centro di neurogenetica non deve chiudere. Il mio oggi è un passaggio, qui al Centro di Neurogenetica, non solo di testimonianza ma di impegno a non chiudere gli occhi per salvaguardare e investire in questa realtà coinvolgendo e chiedendo al Governo Nazionale di costruire una buona sanità e un buon sistema di ricerca che vuol dire moltiplicare e tutelare le eccellenze che ci sono nei territori, altrimenti noi veniamo meno ad un dovere costituzionale che è quello della difesa del diritto alla salute. Non è un favore a qualcuno ma è l’impegno per difendere la costituzione repubblicana». Parole nemmeno di poco peso, insomma.

Altri ancora, come la deputata del Pd Enza Bruno Bossio (che ha promesso un’interrogazione parlamentare sul tema) e il leghista Domenico Furgiuele hanno condiviso dichiarazioni di protesta. Un appello è giunto anche dal Codacons. Mentre tra i familiari dei malati si è formato un comitato che punta a promuovere iniziative su tutto il territorio regionale per mantenere viva l’attenzione sul problema.

Infine, pure la neo governatrice Jole Santelli si è espressa con termini forti, dicendo: «È politicamente criminale distruggere le eccellenze nel campo sanitario. Lo è ancor di più in Calabria. La sanità calabrese è fatta di tante ombre, ma anche di luci e il Centro regionale di neurogenetica, diretto dalla dottoressa Amalia Bruni, scienziata cui si deve la scoperta del gene dell’Alzheimer, è certamente un’eccellenza». Ancora: «Sono sicura che in un’altra regione questo centro sarebbe considerato una preziosa risorsa, soprattutto perché attivo nella diagnosi e cura delle demenze e con un importante laboratorio di genetica molecolare. E invece il centro di Lamezia è a rischio chiusura e già sono partite le prime lettere di licenziamento. Non possiamo permetterci di mettere a rischio la ricerca scientifica, settore che deve diventare strategico per la nostra regione, e poi la cura dei pazienti, il benessere dei cittadini. Valorizzare le eccellenze è prioritario in una terra di emergenza sanitaria continua».

In tutto questo, verrebbe da chiedersi di chi sia la responsabilità. Bruni, dal canto suo, punta il dito proprio contro la politica regionale, i commissari prefettizi che guidano l’Azienda sanitaria di Lamezia Terme (commissariata per mafia) e il generale Saverio Cotticelli, commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro della sanità in Calabria (frutto dell’infelice Decreto Sanità approvato un anno e mezzo fa dal governo giallo-verde). Era stata la stessa direttrice, a maggior 2019, a dire al Corriere: «Speriamo che si arrivi alle nozze con una dote da parte della Regione Calabria, che vuole salvare questa struttura in maniera definitiva». Allora, forse è arrivato il momento di assumersi delle responsabilità, piuttosto che spendersi in dichiarazioni a destra e a manca, come se il compito di sistemare le cose fosse sempre di qualcun altro. Ministri, commissari, presidenti di Regione, capi di partito, deputati, governi: qualcuno salvi il centro di neurogenetica di Lamezia Terme. Altrimenti che senso ha sdegnarsi per il sud abbandonato, per i centri scientifici chiusi, per la ricerca calpestata, per i giovani che scappano, per questo e per quello, se poi non succede niente? Qui c’è un’opportunità concreta di fare del bene, e di farlo subito. Ma occorre fare in fretta. Altrimenti non sarà soltanto un centro di eccellenza a chiudere, non saranno soltanto i ricercatori ad essere licenziati, né i malati e le loro famiglie a rimanere da soli (che già basterebbero). Sarà uno schiaffo in faccia a tutti quelli che pensavano che qualcosa di buono in questo Paese fosse rimasto. E a quel punto, per favore, non parlateci di “piano per il Sud”.

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