Liberal contro socialistiEcco perché il voto in New Hampshire riguarda anche noi

Con le primarie, i democratici americani non scelgono soltanto il candidato da contrapporre a Trump, ma anche la strada più efficace per sconfiggere il populismo: riformismo o massimalismo, Buttigieg o Sanders?

TIMOTHY A. CLARY, Joseph Prezioso / AFP

Il voto di domani notte in New Hampshire riguarda anche noi, noi italiani e noi europei, perché è la seconda tappa di una lunga corsa per scegliere non solo lo sfidante democratico di Donald Trump alle elezioni presidenziali di novembre, cosa di per sé di grande rilevanza globale, ma il modo, le idee, la strada da percorrere per trovare un’alternativa al populismo della nostra epoca, ammesso che questa strada ci sia.

La domanda che si pone il New Hampshire dopo l’Iowa, e prima del Nevada e del South Carolina e poi del super tuesday del 3 marzo, è come si risponde al sovranismo demagogico della destra nazionalista: contrapponendogli un populismo di sinistra o puntando sulla via riformista al cambiamento? Bernie Sanders, insomma, o Pete Buttigieg, Joe Biden, Mike Bloomberg o anche l’ottima Amy Klobuchar? Bisogna affidarsi alla rivoluzione socialista e arrabbiata di Bernie e di Alexandria Ocasio-Cortez o al buon senso dell’ala riformatrice dei progressisti?

Gli americani ci stanno pensando anche per noi, per questo conviene guardare da vicino queste primarie, molto più che nel passato. Lo stratega del movimentismo nazionalista globale, Steve Bannon, l’altro giorno ha detto in tv che Bernie Sanders è un populista come Trump, ovviamente lo diceva come complimento, nel senso che secondo lui Sanders riconosce gli stessi problemi del cittadino comune individuati da Trump, anche se ovviamente offre ricette opposte a quelle del presidente, mentre tutti gli altri democratici no. Il vento politico sembra che spinga decisamente Sanders, il quale già quattro anni fa ha sfiorato la vittoria contro Hillary. Sanders è il favorito intanto perché Hillary quattro anni fa è stata battuta da Trump, anche se non nel voto popolare, e poi perché l’entusiasmo e la mobilitazione per l’anziano senatore socialista sono contagiosi e senza paragoni nella storia politica recente.

Oggi Sanders è frenato dalla presenza di Elizabeth Warren, che parla allo stesso elettorato, ma più razionalmente anche da quanto successo in Gran Bretagna dove i laburisti guidati da un vecchio socialista come Jeremy Corbyn hanno perso tre elezioni su tre nel giro di pochi mesi, dimostrando che la strada per sconfiggere i populisti di destra non è quella di contrapporgli un populismo di sinistra.
Pete Buttigieg rappresenta la visione alternativa, anche generazionale, al neo socialismo americano che, va ricordato, chiede un intervento dello Stato e una protezione sociale non molto diversi da quelli con cui i cittadini europei convivono da oltre mezzo secolo.

Ma la partita è questa, la stessa che si gioca in Gran Bretagna, in Francia e da noi col Pd derenzizzato che cerca l’alleanza con i Cinque stelle, candida Sandro Ruotolo e Michele Emiliano, ingloba le sardine come corrente movimentista di riferimento e affida la politica economica a Peppe Provenzano, Francesco Boccia e Emanuele Felice in netta contrapposizione non solo a Italia Viva, Più Europa e Carlo Calenda, ma anche a Giorgio Gori e all’ala riformista interna.

Le elezioni di metà mandato di due anni fa hanno visto nascere l’ala socialista millennial con la Ocasio-Cortez e le altre della gang di giovani leve democratiche, ma mentre i socialisti hanno vinto, mobilitato ed entusiasmato in collegi che erano già fortemente progressisti, i democratici hanno conquistato quaranta seggi vinti nel 2016 da Trump schierando candidati moderati in collegi che tornerebbero a rischio se alle presidenziali ci fosse un radicale come Sanders. Questioni ideologiche e regolamenti di conti interni a parte, la grande sfida è pratica: vincere è l’unica cosa che conta, ha scritto sabato sul Financial Times James Carville, l’ex stratega delle vittorie di Bill Clinton.