Le contraddizioni del credereI sentimenti sono focolai di incendio: vanno spenti, o tenuti sotto controllo

Ispirandosi a una storia del suo paese, con “Uomini di poca fede” lo scrittore americano Nickolas Butler racconta una vicenda di religione e amore, superstizione e magia sullo sfondo vivissimo dell’America rurale

In tutta la sua vita – ben sessantacinque anni – Lyle non era mai stato costretto a camminare sulle uova con un’altra persona. Non si era nemmeno mai posto il problema. Era cresciuto in una famiglia di stoici agricoltori americani di origine norvegese, in cui non si parlava delle proprie emozioni, o per lo meno lo si faceva molto di rado, perciò i sentimenti erano come focolai d’incendio: destinati a venire spenti in fretta, e in privato. Peg, educata in una famiglia del Midwest dello stesso stampo, costituiva la terza generazione di insegnanti di matematica delle superiori, e quindi una donna dotata di una pazienza incredibile e di una logica e concretezza esemplari. Naturalmente, ciò non significava che Lyle e Peg fossero insensibili o senza cuore. Solo che, per quanto li riguardava, il duro lavoro e la capacità di sopportazione valevano più di ogni altra cosa. Nessuno, secondo loro, meritava di considerarsi unico e speciale. Se avessero avuto un motto o un credo avrebbe potuto essere: Tieni la testa bassa, fai bene il tuo lavoro al primo colpo e metti in ordine a fine giornata, e soprattutto non combinare casini.

Fin da subito, tuttavia, Shiloh aveva fatto costantemente vacillare questa visione del mondo, e Lyle e Peg erano stati ben felici di accoglierla e viziarla con vestiti nuovi, scarpe nuove, tutù da ballerina e lezioni di danza a La Crosse. Qualsiasi cosa desiderasse, davvero. Perché per loro che avevano sofferto così tanto, che avevano così tante aspettative, lei era un miracolo. Per non parlare della stoica, risoluta comunità di Redford, che a quei tempi stava già invecchiando. Quanto la adoravano quei vegliardi, ovunque andasse veniva trattata da principessa senza bisogno di carrozze e diademi. Lecca-lecca e biscotti in regalo in qualunque posto mettesse piede, dalle auto in transito e dai marciapiedi tutti chiamavano il suo nome e suonavano il clacson per salutarla. Perché, ed è tuttora così, nel mondo esistono minuscole cittadine in cui i rapporti fra le persone sono talmente profondi e stretti che il dolore o l’entusiasmo di un singolo individuo vengono provati con la stessa intensità anche dal suo vicino. Così la piccola città di Redford aiutò Lyle e Peg a guarire e a voltare pagina: con spirito accogliente e gioia sincera. E così Lyle e Peg si separarono dalla loro precedente visione del mondo; si staccò e cadde come la pelle di un serpente durante la muta, e presto la dimenticarono del tutto. Ecco cosa fece l’amore, ecco cosa può fare.

Shiloh era speciale, ne erano convinti. E poteva combinare qualsiasi casino le venisse in mente. Poi rimettevano in ordine loro.

Ormai, però, quando c’era Shiloh nei paraggi, Lyle si muoveva con grande circospezione, tanto che sentiva di attraversare in punta di piedi la sua stessa vita. Quando lei usciva da una stanza o saltava sul pick-up di Steven e lasciava in retromarcia il vialetto d’ingresso, al padre sfuggiva un percepibile sospiro di sollievo.

In nessun luogo Lyle era più teso che nella chiesa di Shiloh, dove sedeva dritto come un fuso, con i muscoli così contratti da sembrare pronto per una scazzottata, più che per fare la comunione. Perché per lui e Peg era ormai impossibile presenziare alla funzione nelle retrovie del vecchio cinema godendo di un relativo anonimato. Ora che Shiloh e Steven “si frequentavano” apertamente (Lyle non capiva bene il significato di questo termine nel Ventunesimo secolo), lui e Peg sedevano in prima fila, così vicini all’altare da sentire i braccialetti e i ciondoli portafortuna che battevano come tamburelli sui polsi di Steven. Senza volerlo, a malincuore, Lyle e la moglie erano diventati in qualche modo gli anziani della comunità.

Non c’era dubbio. Steven era un predicatore nato. Oltre a essere un oratore di talento, era con ogni evidenza un buon conoscitore delle Scritture. Ormai Lyle aveva ascoltato parecchi sermoni di Steven, li aveva esaminati a fondo e, per quanto fosse assolutamente sicuro di non concordare con le sue analisi del Vangelo, si rendeva conto che molta gente in chiesa gli tributava i propri amen, e non erano pochi quelli che si alzavano e sventolavano le mani davanti a sé come foglie tremolanti.

Steven si aggirava per la chiesa come una pantera, parlando direttamente ai fedeli; dava la sensazione di conoscerli nel profondo uno per uno; di più, di conoscere le maggiori debolezze, paure e colpe pregresse di ciascuno. Quel giovane non solo era davvero sicuro di sé, ma era di una rettitudine assoluta, ed esibiva quella rettitudine, quella santità con orgoglio, come un manto viola che trasudava un’impossibile combinazione tra l’affascinante gioventù e la dignità che di solito si osserva nelle persone di dieci, venti, persino trent’anni più anziane.

da Uomini di poca fede, di Nickolas Butler, Marsilio 2020

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