Nel quarto trimestre del 2019 la produzione industriale in Italia è scesa in termini congiunturali dell’1,4%. È il primo calo dal 2014, e il dato peggiore dal 2012. Secondo lʼIstat i numeri sono negativi anche per la media annua del 2019, per cui si registra un -1,3%. Il quadro dipinto dai nuovi dati dell’Istituto nazionale di statistica fotografa un settore in difficoltà sempre maggiore. Una contrazione che aggrava un bilancio già di per sé preoccupante, con il Pil del quarto trimestre del 2019 sceso dello 0,3 per cento rispetto al trimestre precedente. E se per il Prodotto interno lordo il calo arriva dopo qualche trimestre di crescita allo “zero virgola” dell’economia italiana, la flessione della produzione industriale segue quelle del secondo e del terzo trimestre. In altre parole: applicando gli standard del Pil alla produzione industriale, il settore tecnicamente sta attraversando una fase di “recessione”.
I numeri sull’intero 2019 vedono un calo dell’1,3% rispetto all’anno precedente, quando era stata registrata una crescita dello 0,6%. Mese nero anche dicembre, nel quale la produzione industriale, -2,7% rispetto a novembre (su base annua la diminuzione risulta del 4,3%), ha registrato il calo più forte da gennaio 2018 contro, come ha sottolineato Paolo Mameli (direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo), la previsione comune che si fermava a un -0,6%. «I dati sulla produzione industriale confermano una caduta più diffusa, con elementi, sicuramente, preoccupanti», spiega a Linkiesta l’ex ministro dell’Economia Pietro Carlo Padoan. «Adesso si tratta di capire quanto tutto questo può essere contrastato da misure di tiratura nazionale o se quello cui stiamo assistendo è dovuto a fattori esogeni di natura internazionale. Naturalmente sussiste un quadro globale difficile, con continue minacce di conflitti commerciali che restano elementi di forte incertezza».
L’annus horribilis per l’economia italiana, segnato da un peggioramento negli ultimi mesi, ha colpito i principali settori e i beni intermedi, meno per quelli strumentali e per la produzione di beni di consumo ed energia, caratterizzata da un lieve incremento. Ad affondare è anche il settore automotive: il -13,9% evidenzia un ribasso, il più forte dal 2012, che lascia poco spazio all’interpretazione. «Ci sono degli scenari assodati, come la crisi del settore automobilistico al quale noi siamo strettamente legati e lo shock che produrrà e sta producendo il coronavirus», chiosa Padoan. «L’impatto economico del virus sarà visibile nella misura in cui l’ondata epidemica si svilupperà: se nei prossimi mesi comincerà a regredire allora l’effetto del coronavirus sarà minore di quanto temuto, viceversa, nel caso di una durata più lunga dovremmo preparaci a degli effetti peggiori di quelli registrati con la Sars, in forza anche delle dimensioni economiche e commerciali assunte dalla Cina durante questi anni».
Insomma, il peggio (forse) deve ancora venire. L’altalena dei dati, per di più, a dicembre ha coinvolto nella sua discesa anche il mercato del lavoro, con cifre negative dopo alcuni mesi positivi. Dell’effetto combinato di queste flessioni, in particolare quella della produzione industriale, c’è da notare la stretta correlazione con la crescita del Pil. Una correlazione presente in tutti i principali paesi europei (i quattro grandi dell’Eurozona e il Regno Unito) e negli Stati Uniti. Malgrado viviamo in un mondo digitale, in cui il grosso del Pil e dei posti di lavoro nasce nei servizi, senza industria non si cresce. «Non credo ci siano gravi responsabilità del governo ma piuttosto dei tempi di reazione di cui quest’ultimo deve tener conto. La legge di bilancio è stata approvata pochi giorni fa, pertanto non è in grado di mettere in atto i suoi effetti, che tendenzialmente sono moderatamente espansivi», continua l’ex ministro dell’Economia.
Nel frattempo, però, l’economia risente di quello che si è registrato nel 2019, certamente non un anno positivo per l’economia italiana, con una forte caduta di fiducia dovuta all’entrata in carica del governo gialloverde. «Bisogna tener conto di questa fase di transizione. Mi auguro che il governo possa mettere in atto, il prima possibile, delle misure di ripresa, a cominciare dagli investimenti pubblici. Sono fiducioso che il governo riuscirà a reagire, anche se gli effetti si potranno vedere più nella seconda parte del 2020 che nell’immediato».
Un momento transitorio, nel quale l’unica scialuppa cui aggrapparsi sono l’alimentare e l’elettronica. Rispettivamente +3% e +2,9% a dicembre e +2,2% e +5,3% a dicembre, i due settori tengono in attivo il proprio rendimento, al contrario del tessile (-4,6% e -4,2% a dicembre) e della metallurgia (-4,1% e -7,3% a dicembre), che per giunta si fanno carico di una fetta sostanziosa di occupati, i quali, senza troppe sorprese, risentiranno in un futuro non troppo lontano dello shock in corso. «Anche per l’occupazione dovremmo attendere l’effetto di alcune norme fiscali. Questo è un momento di passaggio, nel quale c’è bisogno di un governo in grado di fornire una strategia di lungo periodo. Quella promossa attualmente riguarda la Green economy, la quale dovrà essere articolata in misure complete portate a termine con rapidità e chiarezza in modo da dare più certezza agli operatori e alle imprese», conclude Padoan. Nella speranza che questo possa bastare a lenire un’economia a dir poco ferita.