«I compiti del Partito nell’attuale fase politica»: era l’ordine del giorno-tipo all’epoca delle riunioni dei comitati centrali e delle direzioni del Pci, ma va benissimo anche per la direzione del Pd di oggi. Un odg molto generico come molto generica potrebbe essere la discussione. Prevale al Nazareno una ritrovata fiducia in se stesso di pari passo con la crescente sfiducia negli alleati di governo, un Renzi sempre considerato una croce, i Cinque Stelle ondivaghi se non ambigui (Nicola Zingaretti si è molto irritato per la manifestazione del 15 febbraio indetta da Luigi Di Maio contro la “restaurazione” figlia del governo di cui fa parte comodamente assiso sulla poltrona della Farnesina).
Il segretario sente una pressione su di sé che viene da tutte le parti. Con i Cinque Stelle che le usano tutte pur di mettergli il sale sulla coda. Da ultima, Roberta Lombardi, la più filo-Pd, non è chiaro se per ragioni ideali o per logiche di posizionamento interno – avversa a Di Maio, odia Virginia Raggi – che in una lettera aperta al “caro Nicola” gli chiede sostanzialmente di non mettersi di traverso su prescrizione e revoca della concessione autostradale a Benetton.
Lombardi e Zingaretti hanno un ottimo rapporto personale e anche una certa intesa politica: è grazie all’opposizione più che cordiale dei Cinque Stelle che si regge la giunta del Lazio, ed ecco perché lei ha più possibilità di altri di condizionare il segretario-presidente della Regione. Una sirena con voce flautata che potrebbe ammorbidire Zingaretti ipotizzando pur senza dirlo un rapporto meno tranquillo in Regione Lazio nel caso di un no del leader del Pd ai desiderata del Movimento: o è una lettura troppo maliziosa? Il diretto interessato, a Circo Massimo, ha risposto alla solita maniera, tipo: vedremo. «Siamo per una soluzione, chiediamo a Conte di trovarla. Se non si trova, si va avanti con la nostra proposta o anche con il rinvio di un anno se si vuole salvare questo governo».
Quel che è certo è che il Movimento si è ormai reso conto che in qualche modo sulla prescrizione deve mollare, se tira troppo la corda non solo perde ma perde male. Meglio cercare di salvare la faccia, individuando un busillis che possa evitare al Guardasigilli e al suo dante causa Di Maio un’umiliazione politica. La chiave di tutto è legata alla benedetta riforma del codice penale che dovrebbe garantire tempi certi del processo, finora un’araba fenice di cui nessuno ha trovato l’algoritmo giusto ma che potrebbe venire alla luce consentendo a Bonafede di mettere il cappello su una riforma che “supera” la sua riforma, una via d’uscita onorevole che, soprattutto, sminerebbe il terreno del governo da un ordigno letale.
Perché il punto, gira gira, è sempre lo stesso. Andare avanti con Conte, che Zingaretti ha nuovamente re-insignito del titolo di “punto di riferimento” e di quello di candidato del centrosinistra a Palazzo Chigi quando sarà è la linea di fondo. E nell’immediato si tratta di spronare il suo esecutivo a cambiare passo (se lo ripete così spesso vuol dire che ce l’ha anche con i suoi tanti ministri?), a dare quel “colpo di reni” continuamente invocato e altrettanto continuamente rimandato. Naturalmente non è mancato, nell’intervista a Massimo Giannini, l’impegno a cancellare i decreti sicurezza che lui chiama “decreti dell’odio”: lo aveva detto a Bologna, ma era il 17 novembre.
Messa così l’analisi, c’è effettivamente poco da discutere. E il famoso “partito nuovo”? Il segretario ha confermato che vuole fare il Congresso, come e quando si vedrà. Una cosa alla volta. Solo che le emergenze qui si affastellano.